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Crollano i teoremi sulla nascita di Fininvest. Il perito: ho sbagliato

L’ex consulente della Procura siciliana fa dietrofront: il gruppo di Segrate non fu finanziato da misteriosi capitali esterni. L’azienda rinuncia alla causa contro Giuffrida: "La transazione smentisce in modo assoluto e indiscutibile anni di campagna diffamatoria". Ghedini: "Altro che fondi della mafia, Berlusconi ha creato lavoro in modo trasparente. Molti politici devono chiedergli scusa"

Crollano i teoremi sulla nascita di Fininvest. Il perito: ho sbagliato

Francesco Giuffrida, il funzionario della Banca d'Italia che al processo Dell'Utri per il Pool di Palermo ricostruì la nascita della Fininvest con una monumentale e super-pubblicizzata perizia, adombrando flussi di capitali tanto misteriosi da venir citato per danni dal gruppo di Segrate, ha accettato e sottoscritto una transazione per chiudere il contenzioso civile con il gruppo finanziario. Fininvest chiedeva un risarcimento perché si sentiva accusata ingiustamente. Nella transazione Giuffrida ammette che la propria consulenza fu parziale, tanto da lasciare insoluta l'origine di otto operazioni finanziarie.
Ma spiega anche i motivi della parzialità del suo operato. E bacchetta la procura. Sottolinea infatti che la sua attività andava completata ma ciò mai avvenne perché il procedimento finì archiviato. Aggiunge che il suo lavoro era «costantemente sottoposta allo specifico e ineludibile coordinamento ed al diretto controllo dei Pm». E anzi fu proprio sotto le loro strette direttive che si arrivò alla «scelta dei documenti da consultare e acquisire agli atti». Frasi incisive quindi nelle cinque pagine dell'accordo stipulato tra il perito e il gruppo televisivo. E che si rifletteranno nei processi ancora in corso. Tanto che sia il difensore di Silvio Berlusconi, Nicolò Ghedini, sia la Fininvest sottolineano come questa transazione «smentisce in modo assoluto e indiscutibile - si legge in un comunicato dell'azienda - la campagna mediatica pesantemente diffamatoria condotta per anni in danno della Fininvest».
Si spinge oltre Ghedini: «La transazione dimostra inequivocabilmente l'assoluta infondatezza di ogni ipotesi di di illeicità o carenza di trasparenza dell'origine del denaro utilizzato per fondare la Fininvest. Denaro lecito, derivante da operazioni finanziarie tutte ricostruite fino all'ultimo centesimo». L'aspetto infatti più rilevante di questo accordo non è tanto quello giudiziario quanto quello mediatico. La relazione di Giuffrida, infatti, e la tesi di possibili capitali mafiosi presenti nella costituzione dell'azienda non avevano finora ottenuto alcun esito processuale visto che l'indagine sull'origine della Fininvest già si era chiusa con un nulla di fatto. Ma il lavoro di Giuffrida per anni ha alimentato le accuse mediatiche. «Berlusconi ha creato ricchezza e decine di migliaia di posti di lavoro in modo assolutamente corretto - continua Ghedini - Questo è tutto ciò che si evidenzia dopo anni e anni di inattendibili ricostruzioni. Oscuri giornalisti sono diventati famosi e analfabeti di ritorno sono diventati scrittori, diffamando Berlusconi in merito all'origine del suo patrimonio. Molti, e fra questi anche politici di rilievo dell'attuale maggioranza, dovrebbero scusarsi per aver tentato negli anni passati di strumentalizzare vicende del tutto infondate. Solo la volontà e la pervicacia di Berlusconi hanno consentito di dimostrare la realtà e la verità dei fatti ma in questo paese, dove si diviene garantisti soltanto per difendere i propri amici, la coerenza è un mero auspicio e la decenza è del tutto inesistente. Rimane un dato oggettivo: Berlusconi e la Fininvest hanno sempre agito con totale e assoluta correttezza».
La vicenda inizia il 5 dicembre 1997 quando la procura di Palermo, dopo aver sentito dei pentiti di mafia secondo i quali Fininvest avrebbe utilizzato capitali sporchi, affida proprio a Giuffrida l'incarico l'incarico di «verificare la legittimità degli apporti finanziaria intervenuti alle origini della Fininvest da parte di soggetti terzi». Giuffrida compie le sue analisi e deposita le sue considerazioni nell'aprile del 1999. Il gip Gioacchino Scaduto le legge e archivia a dicembre di quell'anno il procedimento. Mancano le prove. Passano sei mesi e la relazione finisce al processo Dell'Utri. In aula, si legge sempre nella transazione «Giuffrida sostiene che per otto delle operazioni esaminate non era riuscito ad identificare l'origine della provvista. Il che aveva generato nell'opinione pubblica la convinzione che la società potesse avere effettivamente goduto dell'apporto di capitali di provenienza mafiosa». Accuse pensanti che spingono l'azienda, dopo la definizione in primo grado del procedimento, ovvero nel 2006, a citare Giuffrida per i gravi danni patiti. In pratica la Fininvest sostiene che il perito poteva ricostruire le otto operazioni e verificare che i denari «erano pacificamente rivenienti da persone, fisiche o giuridiche, tutte immediatamente riferibili all'allora costituendo gruppo Fininvest e quindi senza alcun afflusso di denaro dall'esterno».
Giuffrida replicava sostenendo che la consulenza era incompleta perché costituiva «solo una prima ipotesi di lavoro», da integrare. Ma, in realtà, quella relazione non venne mai approfondita visto che poi il procedimento per il quale era stata redatta venne archiviato. Se non fosse poi resuscitata, seppur parziale, al processo Dell'Utri. Per questo ora «riconosce i limiti delle conclusioni rassegnate nel proprio elaborato e delle dichiarazioni rese al dibattimento ed inoltre che le predette operazioni oggetto del suo esame consulenziale erano tutte ricostruibili e tali da escludere l'apporto di capitali di provenienza esterna al gruppo Fininvest».
gianluigi.

nuzzi@ilgiornale.it

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