Cronache

Addio ragazzina dai capelli rossi

Addio ragazzina dai capelli rossi

Ciò che non esiste, non può morire. Come l'amore, per esempio. L'amore assoluto, però, quello non corrisposto perché ignoto, non dichiarato, clandestino. Unidirezionale e dunque infinito, una linea che parte da un punto qualsiasi dello spazio per andare chissà dove, chissà quando. «La ragazzina dai capelli rossi» era più della Beatrice di Dante e della Laura di Petrarca, era più della Albertine di Proust, perché non c'era. O almeno non c'era, non c'è, non ci sarà, in nessuna striscia di Charles M. Schulz. Nel mondo delle noccioline, dei Peanuts, delle «piccolezze», frammenti di educazione sentimentale scritti e letti con il linguaggio dei puri, dei bambini, non contaminato dai grandi, «la ragazzina dai capelli rossi» era la presenza assente, un anonimo, dolcissimo, inarrivabile convitato di carta.

«Penso sempre a quella ragazzina coi capelli rossi, ma so che lei non pensa a me. Non pensa a me perché non sono niente, e non puoi pensare a niente!», confida Charlie Brown a Linus. «Tu non sei affatto un niente, Charlie Brown», ribatte l'altro nel vano tentativo di consolarlo. «Praticamente. Una ragazza è mai andata in giro pensando a uno 0,00001?», conclude il filosofo in erba. Ecco, è tutta qui, la visione della vita schulziana: il sogno che, infranto dalla realtà, si ricostruisce nella dimensione dell'ironia, in questo caso, dell'autoironia.

Ma fuori dalle strisce, nella vita reale, «la ragazzina dai capelli rossi» esisteva eccome, e qualche giorno fa, per la precisione il 9 agosto, anche se la notizia è uscita con notevole ritardo sui giornali americani e quindi italiani, le è toccato di morire, a 87 anni, per arresto cardiaco dovuto alle complicanze del diabete. A rivelarne l'identità fu, nel 1989, Rheta Grimsley Johnson, nelle pagine della biografia (autorizzata, dunque consenziente nel rompere il segreto custodito per anni) di Schulz dal titolo Good Grief. Si chiamava Donna Mae Wold, e faceva Johnson da signorina. Perché sì, good grief (santo cielo!), la ragazzina dai capelli rossi non era, proprio no, dello stesso, simmetrico parere di Charles M. Schulz alias Charlie Brown. E si era sposata, con un tale Allan Wold, di mestiere vigile del fuoco, avendo peraltro con lui quattro figli con conseguenti sette nipoti e tredici pronipoti. Ai quali sono da aggiungere i circa quaranta bambini, più di tutti i Peanuts messi insieme, gestiti in qualità di balia o affidataria. E ditemi voi se non è, anche questa, ironia (della sorte).

Charles-Charlie l'aveva davvero conosciuta, da ragazzo, nella loro Minneapolis, avevano filato insieme, erano stati, si mormora, persino fidanzati, ma quando lui aveva tentato il grande passo, chiedendo a lei di sposarlo, lei aveva opposto un (pare) cortese eppure netto diniego. Ma, come dicevamo all'inizio, ciò che non esiste non può morire. E l'arte, visto che le strisce di Schulz sono arte, proprio a questo serve, a rendere immortale ciò che non c'è. I maligni dicono che lui per vendetta avesse negato a lei la gloria dell'apparire in quelle storie minime baciate dal massimo successo. E il diretto interessato sul tema glissò sempre recisamente, adducendo l'incapacità di descrivere e disegnare come meritava la rossa fiamma giovanile... Poco importa, a noi antichi compulsatori del Linus diretto dal sempre rimpianto Oreste del Buono. Poco dovrebbe importare anche ai ragazzini di oggi, se sapessero, se potessero smetterla di cercare i Pokemon agli angoli delle strade e invece andassero a cercare, dietro il suggerimento di genitori saggi e dallo sguardo lungo, altre creature che incominciano anch'esse per «P», messe nero su bianco, per la bellezza di mezzo secolo, da un signore spelacchiato e innamorato, trovando, come facemmo noi antichi, in loro una parte di se stessi.

«La ragazzina dai capelli rossi», custodita nell'inesistenza agli occhi degli altri, è «quella del primo banco, la più carina, la più cretina cretino tu», come cantava Venditti. È il corso e ricorso storico di Vico, studiato su quei banchi, è la Beatrice, la Laura, l'Albertine. Magari è anche bruttina, con il senno del poi. «La ragazzina dai capelli rossi» è il desiderio che con un balzo che solleva di quel tanto il gonnellino scavalca la storia per finire, come Alice, dietro lo specchio del rimpianto. Laggiù è soltanto nostra, tutta per noi. È, quella mocciosa antipatica e superba, una inconsapevole maestra di vita.

Per questo la amiamo ancora.

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