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Affari di sabbia

Gli stabilimenti balneari rendono molto. Ma ora l'Europa ordina: non devono più essere un'eredità di famiglia

Affari di sabbia

Mancia al bagnino, saluti ai ragazzi del bar, l'ultimo caffè prima della partenza e la solita promessa di ogni fine vacanza: «Ci vediamo l'anno prossimo». Così ci si saluta da generazioni ai bagni Elena di Napoli, ai bagni Piero del Forte, dalla signora Angela alla Spiaggia 69 di Riccione, dai Lampieri a Tortoreto Lido. È una tradizione che rimane intatta dai tempi dei nonni, spaccato di un'Italia dal sapore anni Sessanta e abituata da sempre alla stessa spiaggia, stesso mare.

Ma quel «ci vediamo l'anno prossimo» potrebbe durare ancora solo per qualche anno. Dal 2021 le regole potrebbero cambiare e i 30mila stabilimenti balneari italiani a gestione familiare rischiano di dover rinunciare alla concessione storica e cedere il Bagno al miglior offerente, dalle grosse catene del turismo fino ai miglior offerenti stranieri. Il concetto di spiaggia a cui siamo abituati potrebbe stravolgersi del tutto. Insomma, il meccanismo della concessione che passa di padre in figlio, con una sorta di privatizzazione de facto del settore, cederà il passo alle gare pubbliche aperte a tutti Paesi europei. Lo chiede dal 2009 l'Ue, che ha anche avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, unico paese in cui il settore viene gestito senza bandi. «Non garantite la concorrenza» striglia l'Europa. Per ora il monito è stato ignorato e ci si è aggrappati a una proroga delle concessioni valida fino alla fine del 2020 ma bocciata dalla Corte di giustizia europea. Quel che è chiaro a tutti è che una riforma va messa a punto e nel settore regna un disordine immenso. Che non solo lascia spazio ad affitti definiti «ridicoli», caste di gestori, occupazioni abusive e violazioni alle leggi europee, ma fa in modo che manchino trasparenza e uniformità lungo i litorali. Insomma la gestione delle spiagge, patrimonio del demanio pubblico, va corretta.

Il canone

Il primo a voler cambiare le regole del gioco è lo Stato. La sua priorità è innanzitutto aumentare il canone degli stabilimenti balneari. Ad oggi infatti, su un fatturato complessivo di 9 miliardi di euro all'anno (in media 300mila a bagno per ogni stagione), nelle casse dello Stato finiscono solo 102 milioni di euro. Giusto per fare qualche esempio, in base ai dati Istat, il Twiga di Pietrasanta pagava nel 2014 16mila euro all'anno per 4.500 metri quadrati di spiaggia, il Lido Punta Pedale di Santa Margherita versava circa 7.500 euro all'anno. Troppo poco secondo Roma. Tanto che il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda se ne era uscito con un paragone pungente: «I gestori degli stabilimenti pagano meno di quanto versi un ambulante per una bancarella di cinque metri per tre».

E poi c'è il problema della disomogeneità delle quote. È vero che alcune spiagge sono più vip di altre, è vero che in alcuni bagni sei servito e riverito con idromassaggio en plain air e baby club super attrezzati mentre in altre si limitano a un panino scaldato al microonde, ma c'è un grosso divario tra il Nord e del Sud. E, guarda un po', è il Nord a pagare di più. Altro discorso riguarda le regioni a statuto speciale: la Sicilia, che vanta mille chilometri di costa, versa appena 81mila euro, la Sardegna 7,7 milioni. Il motivo? Lo statuto speciale permette alle regioni di intascare gli introiti senza girarli allo Stato.

Per impostare una riforma dell'affitto che sia giusta per tutti, Federbalneari (che rappresenta oltre 3mila stabilimenti da Adriatico a Tirreno) ha stilato una nuova classifica delle spiagge, a seconda della località, del mare e dei servizi offerti ai bagnanti. E ha proposto tariffe differenziate in base alla tipologia dei bagni.

«Ci rendiamo perfettamente conto che il sistema vada rivisto - sostiene il presidente Renato Papagni, titolare del bagno Le Dune di Ostia - e anche che gli stabilimenti di Taormina abbiano caratteristiche diverse rispetto a quelli di Lignano, della Romagna o della Versilia. Proprio per questo abbiamo previsto una nuova classificazione con tariffe differenziate. Ci sembra un modo equo per stabilire i nuovi canoni e, per di più, in questo modo il Governo incasserà il doppio, cioè 200 milioni di euro all'anno». La proposta verrà discussa sui tavoli istituzionali.

La gestione familiare

Altro nodo da affrontare è quello che riguarda la gestione familiare degli stabilimenti sul mare. Non solo per una questione di folklore e tradizione ma anche per ragioni economiche. Chi ha preso in concessione gli stabilimenti, solitamente con contratti rinnovabili di sei anni in sei anni, ha anche investito parecchi soldi per rinnovare le strutture, rifare sdraio e ombrelloni, costruire solarium, piscina e area bimbi. Spesso si tratta di mutui spalmati da qui al 2050, ancora tutti da estinguere. Per ammortizzare i costi, i gestori chiedono più tempo: cioè premono perché la riforma non scatti già nel 2021 ma sia rimandata. Di quanto? C'è chi - come Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti - chiede un periodo di transizione lungo 30 anni e chi invece - come Federbalneari - è disposto ad accettare un periodo più breve purché seguito da gare non aperte a tutti ma a invito.

Altrimenti? In alternativa i balneari chiedono indennizzi nel caso in cui non siano loro ad aggiudicarsi l'appalto. Perché - sostengono - il rischio è che i gestori restino con il cerino in mano e i debiti sul groppone. E potrebbero cominciare ad avere paura ad investire soldi nella loro struttura non avendo garanzie sui tempi. «Invece - sostiene Papagni, con spirito imprenditoriale - investire denaro nei nostri stabilimenti è fondamentale. Non possiamo rimanere legati agli anni Sessanta, quella è roba da film. Dobbiamo stare al passo con i tempi, ammodernarci, seguire il modello Formentera, aprendo agli aperitivi in spiaggia al tramonto. Solo così possiamo restare un prodotto interessante. E poi è ora che i vari stabilimenti comincino a lavorare in squadra, dividendo i costi e aumentando i servizi. In caso contrario non saranno gli stranieri o le multinazionali cinesi ad ammazzarci, saremo noi a morire da soli». E a quanto pare il momento giusto per fare investimenti e rendere più attraente la spiaggia è proprio questo: la paura degli attentati terroristici sprona le famiglie a rimanere in Italia e sembra che i numeri del turismo di questa stagione siano buoni già ora.

«Il nostro settore - commenta Riccardo Borgo, presidente del sindacato italiano balneari e gestore del bagno La Bussola a Bergeggi (Savona) - è cresciuto con la certezza delle concessioni dal 1942. Si sono create generazioni di balneari che si sono consolidate per diritto nella gestione degli stabilimenti. I figli hanno proseguito il lavoro dei padri con la certezza del legittimo affidamento del contratto. Questo dovremmo spiegarlo all'Europa. A Bruxelles non capiscono il valore aggiunto della gestione familiare». Dal ministero agli Affari regionali di Enrico Costa garantiscono comunque che non c'è nessuna volontà di infierire sugli attuali gestori, né di rivoluzionare un sistema che funziona. I principi su cui si baserà la riforma sono tre: innanzitutto verranno riconosciuti gli investimenti fatti dai privati, verrà studiato un metodo di concorrenza e selezione pubblica anti multe Ue e, infine, si terrà conto della professionalità acquisita negli anni dai gestori. Ma niente prelazioni.

I costi

Fino a prova contraria a pagare lettini e ombrelloni sono i contribuenti. Poco importa che lo facciano, oggi, a un gestore «di diritto» e, domani, al vincitore di un appalto. Quindi è giusto che i turisti sappiano con trasparenza che giro fanno i loro soldi. Anche perché, diciamolo, per affittare ombrellone e lettini in certe spiagge ci vuole lo stipendio di un mese. Al Des Bains di Venezia una giornata in spiaggia costa 350 euro, a Forte dei Marmi ci si aggira sui 280, 200 a Porto Cervo e 100 in alcune spiagge del Salento che, negli ultimi anni, ha di gran lunga alzato i costi. La tariffa media in alta stagione si aggira sui 40 euro al giorno. Ma che fine fa la «strisciata» di carta di credito di fine vacanza? In parte va al gestore e in parte nelle casse delle Stato.

Le Regioni che versano di più sono la Toscana (11,6 milioni), la Liguria (11,2), il Lazio (10,4), il Veneto (9,5) l'Emilia Romagna (8,8).

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