Cronache

"Da allora io vedo gli spiriti...". Così il migrante ottiene l'asilo

Le sentenze sulle richieste di asilo dei nigeriani in Italia: dopo l'oracolo di Ogbunabali, tornano i racconti sulla setta degli Ogboni

"Da allora io vedo gli spiriti...". Così il migrante ottiene l'asilo

Non c'è solo l'erede del sacerdote di Ogbunabali, come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa. Tra i fortunati migranti che hanno ottenuto accoglienza in Italia per sfuggire a sette segrete e riti vari in Nigeria ci sono anche Olu e Yewande, marito e moglie, entrambi nati a Benin City nell'Edo State. I nomi sono di fantasia, ma la causa giudiziaria è reale. Per quanto curiosa. Olu e Yewande, infatti, dopo essere stati scartati dalla Commissione territoriale sul diritto d'asilo hanno incontrato un giudice disposto a ritenere plausibile la loro fuga dalla setta degli Ogboni.

Tutto inizia con la morte del papà di Olu nel 2016. Pochi giorni dopo il decesso, stando al racconto del migrante, "alcuni membri della setta" Ogboni si presentano a casa del 33enne "chiedendogli di non provvedere al seppellimento del corpo del padre in quanto dovevano aprirne il ventre per estrarre un contenitore". E già qui la faccenda si fa macabra. Olu avrebbe dovuto "ingoiare" quel contenitore "per diventare membro della setta e ricoprire l'incarico del padre". E per non farsi mancare nulla, avrebbe dovuto pure "uccidere la moglie (...) come sacrificio". Olu si rifiuta, e da allora pare inizi "ad avere allucinazioni e vedere spiriti". Così decide di lasciare la Nigeria insieme a Yewande, approda in Italia e qui presenta domanda di asilo sulla base del timore di "subire violenze da parte dei membri della setta degli Ogboni".

La Commissione territoriale di Perugia però non crede al racconto. Non lo ritiene né credibile né verosimile. Inoltre non ravvisa "la sussistenza di alcun pericolo di danno grave" in caso di rientro in Patria, perché nella zona dell'Edo State, da cui provengono i due migranti, non vi è "alcuna situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata".

La decisione, datata 18 gennaio 2017, è chiara e categorica: negata ogni protezione e via libera al rimpatrio.

Come spesso accade, però, Olu e Yewande presentano ricorso. Se ne occupa la Sezione Protezione Internazionale Civile del Tribunale di Firenze, che il 28 maggio 2020 arriva a sentenza. La toga la pensa diversamente dalla Commissione: per il giudice "i ricorrenti sono apparsi credibili e circostanziati". In particolare per quanto riguarda gli Ogboni, visto che "sono confermate e consolidate le violenze" poste in essere dalla setta contro chi si rifiuta "di farne parte e di effettuare i riti sacrificali". "Le vicende narrate - si legge nella sentenza - appaiono compatibili con le informazioni che si possiedono sul gruppo degli Ogboni". E giù citazioni dal Rapporto Easo sulla Nigeria del 2017, da quello Coi del 2018 dal Nigerian Observer (?), dall'Immigration and Refugee Board del Canada e dalle dichiarazioni di un professore di legge dell'Università di Leicester. E poco importa se il gruppo degli Ogboni "ha cercato di smentire" le violenze "e di riabilitare il proprio nome definendosi semplicemente un social club". Olu e Yewande meritano comunque un permesso di soggiorno. La corte ha deciso.

Il giudice ha accordato alla coppia nigeriana la cosiddetta protezione sussidiaria, che sta un gradino sotto lo status di rifugiato. Il motivo è il rischio di essere sottoposti a "tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante" qualora facessero ritorno in Patria. In Nigeria, spiega la toga nella sentenza, non vi sarebbe uno Stato in grado di garantire l'incolumità dei due immigrati. E anzi a volte capita che "le forze di sicurezza pongono in essere comportamenti decisamente lesivi dei fondamentali diritti umani". Dunque il timore di Olu di subire la violenza degli Ogboni sarebbe fondato. Poco importa se nel dicembre del 2018 la Corte di Cassazione aveva messo uno "stop" alle richieste di asilo basate sulle attività di questo misterioso gruppo: "Quella degli Ogboni - aveva infatti sentenziato - non è una setta di assassini, bensì una confraternita".

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