Cronache

Altro oltraggio delle toghe Sputare ai poliziotti si può

Si chiama «particolare tenuità del fatto». È l'ultimo scudo forgiato dal giudice per assolvere un antagonista che aveva sputato a un poliziotto. Sì, avete letto bene: il virtuoso giovanotto era stato pizzicato un paio d'anni fa nel corso di una manifestazione, a Milano, mentre si dava da fare con altri quattro (...)

(...) compagni. Il gruppetto aveva danneggiato alcune bandiere del Pd, lui in più ci aveva messo del suo e, zac, aveva centrato un agente con il più spregevole dei proiettili: quello preparato con la propria saliva.

Di qui la denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale: ma ora, ecco l'assoluzione. Per la particolare tenuità del fatto.

Sulla fisarmonica della giustizia siamo abituati a tutto. Questo colpo di spugna non ci stupisce, ma non ci convince per niente. Anzi. Occorre distinguere: il furto della mela al supermercato può essere lieve, lievissimo, fino a non pesare nemmeno un giorno di cella sulla bilancia del giudice. È un classico della letteratura giudiziaria che proprio questo istituto, introdotto nel 2015, ha trasformato in una favola a lieto fine. Il ladruncolo se la cava grazie all'impalpabilità dell'ammanco. Basta una ramanzina, ma non c'è bisogno di scomodare il codice. Siamo d'accordo, in linea generale, perché un frutto non può essere una condanna. È una questione di buonsenso e di dosaggio della forza. Certe soluzioni sono ammortizzatori davanti agli spigoli della norma che non sempre riescono a prevedere l'infinito ventaglio dei casi umani. Meglio così: altrimenti per fare giustizia si finisce con il creare l'ingiustizia.

Ma lo sputo a un uomo in divisa non può essere tenue perché lo Stato e una mela non sono la stessa cosa. Non si possono sommare con indifferenza o, peggio, sciatteria, come rilevano i sindacalisti del Sap. E l'assoluzione equivale a spogliare lo Stato, come un albero d'inverno. Metterlo a nudo. Profanarlo. Umiliarlo e così umiliare tutti noi che siamo le tessere di quel puzzle che forma la società.

Quell'assoluzione, con rispetto parlando, calpesta la civile convivenza. Il nostro legislatore e la nostra magistratura hanno purtroppo costruito un sistema che oscilla più di un pendolo. Un furto può essere punito con pochi mesi o con molti anni di carcere. Figurarsi quando si deve procedere contro chi ha fatto a pezzi il vessillo di un avversario politico o ha insultato il presidente della Repubblica, peggio ancora il Papa. Abbiamo assistito a verdetti che fanno a pugni l'uno con l'altro come su un ring e a capriole degne di un'olimpiade.

Ma uno sputo non è una scheggia impazzita del vocabolario che salta su dalla pagina e nemmeno un'opinione particolarmente accesa. No, è un'altra cosa e segna una progressione nella scala del degrado. Certo, l'oltraggio era stato depenalizzato nel 1999, ma poi nel 2009 il Parlamento ci aveva ripensato e l'aveva ripristinato.

Ora il giudice ha trovato il modo di neutralizzarlo. Intendiamoci: ha assolto tutto il quintetto, ma questo passaggio non è come gli altri. Inquieta. Siamo dentro un mondo che ha perso ogni tridimensionalità, ogni profondità, ogni prospettiva. E questa sentenza lo certifica senza ambiguità. Sarebbe bastata una pena modesta, simbolica, diciamo pure particolarmente tenue. In concreto il ragazzo non avrebbe mai oltrepassato la porta del carcere, ma si sarebbe salvaguardato il principio. Sarebbe stato un compromesso adatto alle vesti slabbrate di questo Paese in cui le condanne sono spesso filastrocche che si esauriscono nel momento in cui vengono pronunciate. Formule virtuali. Teoriche. Ma il verdetto non si è accontentato e va oltre. Ignorando i rapporti e gli intrecci che sono le nervature del bene comune. Il dispositivo è una nuvola nera sul nostro cielo. E un lasciapassare per altri facinorosi che possono spingere la provocazione fino a scagliarla come un'offesa contro tutti i cittadini. Oltre quel confine che non si dovrebbe mai superare.

Stefano Zurlo

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