Cronache

Arrestato Bozzetti, l'ex informatore del sequestro Moro

Dario Bozzetti, 72 anni, dovrà scontare più di sette anni di reclusione per truffa, insolvenza fraudolenta e ricettazione

Il sequestro di Moro in via Fani
Il sequestro di Moro in via Fani

Arrestato dopo mesi di latitanza. Dario Bozzetti, 72 anni, dovrà scontare più di sette anni di reclusione per truffa, insolvenza fraudolenta e ricettazione. L’uomo, ingegnere navale nonché proprietario di un autosalone nella capitale, è balzato alle cronache, un anno fa, come il personaggio misterioso che avrebbe portato all’arresto dei brigatisti rossi Valerio Morucci e Adriana Faranda nel 1979, un anno dopo la strage di via Fani e il sequestro Moro. I carabinieri di Roma, dopo il fallito tentativo di cattura a luglio, l’hanno individuato nonostante i vari nascondigli, schede telefoniche e auto. Ad accusare Bozzetti un agente di polizia in pensione, il maresciallo Nicola Mainardi. “Volete prendere Morucci e Faranda? Andate al quarto piano di viale Giulio Cesare 47” avrebbe spifferato Bozzetti, assieme al socio Olindo Andreini, agli inquirenti che indagavano sugli stragisti rossi. Circostanza negata dallo stesso Bozzetti, però, durante l’audizione dell’aprile 2016 della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. In aula Bozzetti spiega di non ricordare bene e comunque di non conoscere, all’epoca dei fatti, i volti dei due brigatisti. Secondo il maresciallo, però, è il 29 maggio del 1979 quando la fonte, rimasta segreta per 37 anni, rivela l’indirizzo del covo di viale Giulio Cesare mettendo la parola fine alla latitanza delle due primule rosse ricercate da tempo. Sempre secondo Mainardi, in audizione davanti la commissione Moro, tramite Bozzetti e Andreini, gestori di un autosalone, Mainardi viene a sapere dei movimenti dei due ricercati. In particolare la Faranda aveva comprato da loro due auto, una Citroen nel ‘76 e un’Autobianchi A112 nel ‘77. “Furono Bozzetti e Andreini a portarci al covo” dichiara l’ex poliziotto.

“Loro andarono avanti - insiste Mainardi - si incontrarono con i due con la scusa di fornire documenti falsi, attività che veniva realizzata nell’autosalone. In cambio della soffiata fornimmo due passaporti a Bozzetti e Andreini per un soggiorno all’estero di 20 giorni, come stabilito con il prefetto De Francesco“. Una storia che per decenni si è intrecciata a mille altri misteri, come quello legato persino al Kgb, il servizio segreto sovietico. Tutto nasce, ma per alcuni questa è un’altra storia, dal fatto che la proprietaria dell’appartamento-covo, Giuliana Conforto, è la figlia di Giorgio Conforto, nome in codice Dario, spia del Kgb. Secondo Christopher Andrew, autore dell’affare Mitrokhin, Dario era il più prezioso agente del Kgb in Italia. Spia sotto copertura fino all’ottobre del 1999 quando vengono resi pubblici i nomi dei personaggi a libro paga dei sovietici. I dubbi sull’intervento diretto dell’intelligence russa nascono dal fatto che la figlia di Conforto viene immediatamente scagionata dall’accusa di complicità con Morucci e Faranda. Per la sua incolumità, e soprattutto per l’arresto dei due brigatisti, venne concordato uno scambio di “prigionieri”? Secondo il senatore Paolo Guzzanti, ex presidente della commissione Mitrokhin, era chiaro che lo stato, tramite il professore Romano Prodi e la sua “seduta spiritica”, aveva ricevuto dal Kgb l’informazione su via Gradoli. Comunque un’occasione gettata al vento dal momento che gli inquirenti si diressero nel paesino nel viterbese, Gradoli, anziché nella via omonima di Roma. Nell’audizione del 27 aprile 2016, però, Bozzetti insiste sul fatto di non aver mai parlato al maresciallo Mainardi, che non conoscesse Morucci e Faranda e che fosse disponibile, in cambio di una copertura che il maresciallo Mainardi poteva dargli in nome e per conto della polizia, a “passargli” due brigatisti ricercati.

“Non capisco perché io mi debba difendere dall’accusa di aver favorito la cattura di Morucci - mette a verbale Bozzetti -, quando secondo me non è una cosa nefasta”.

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