Cronache

In aula il cellulare non serve

In aula il cellulare non serve

«Timeo Danaos et dona ferentes», diceva Laocoonte ai Troiani davanti al Cavallo dono dei Greci che avrebbero distrutto Troia. E la traduzione? Beh, c'è Google. E il problema è proprio questo. Oggi la tecnologia è nemica della scuola proprio perché contiene in sé il germe dell'ignoranza. Cioè offre risposte veloci a domande complesse. Tutto il contrario di quello che dovrebbe essere la scuola. Il «populismo» didattico che si annida negli smartphone è il principale nemico della conoscenza, e lo si capisce dal crescente grado di analfabetismo funzionale. Non basta sapere le risposte, bisogna leggere e studiare, ragionare, astrarre, pensare, arrovellarsi. Chi dice che il telefonino aiuta a imparare sbaglia. Aiuta al massimo a rispondere a qualche domanda. Altro che «uso consapevole dei cellulari ai fini di un migliore apprendimento», come dice il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti, forse più preoccupato dell'ira dei professori, che se passa la proposta saranno costretti a loro volta a rinunciare a sparlare del collega in tempo reale nelle chat di scuola. Chi pensa che vietare i cellulari nelle aule sia una misura antistorica guardi nella Silicon Valley, patria della tecnologia, dove ci sono moltissime scuole low-tech: lì tablet e smartphone sono banditi per far posto a matite e gessetti, con buona pace dei papà nerd che quei telefonini li hanno inventati. E che sanno meglio di altri i rischi che si corrono a mescolare apprendimento e tecnologia. La scuola insegna a farsi le domande, poi esiste un posto dove avere tutte le risposte. Ma si chiama enciclopedia, non Google, anche se certi adulti smanettoni, ormai appesi ai cellulari come i loro antenati alle liane (cit.) strabuzzerebbero gli occhi. La scuola dovrebbe essere un luogo «altro», sospeso nel tempo, dove la modernità si inchina alla Storia e alla Letteratura. Dove si impara a scrivere a mano e si studiano materie solo apparentemente inutili. Dove siamo tutti uguali (e questo era il vero senso del grembiule, che si è quasi perso) e l'insegnante si rispetta, non si giudica o peggio ancora si insulta. La scuola dovrebbe essere il luogo delle opportunità, dove il cervello si allena a suon di nozioni solo apparentemente «noiose», magari anche imparando a leggere un quotidiano ogni giorno. Se questo Paese sta perdendo la sua identità è perché ce ne siamo dimenticati. La scuola non è un pranzo di gala. Lo capiscono anche i bambini al primo giorno di scuola, quando si trovano davanti banchi traballanti e sedie di legno consunte anche se sulla porta c'è scritto Prima classe. E piangono.

PS «Temo i Danai e i doni che portano» o «anche quando portano i doni».

Danai è il nome sprezzante con cui Virgilio nell'Eneide definisce i Greci intesi come figli di Danao, fratello gemello di Egitto.

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