Periferie d'Italia

Bagnoli e l'Italsider, emblema dell'industria italiana

Un grande spazio vuoto a Bagnoli ricorda la pesante eredità lasciata dall'Ilva/Italsider. L'emblema dell'industria siderurgica (e di Stato) in Italia

Bagnoli e l'Italsider, emblema dell'industria italiana

Oggi tutto quel che rimane dell'Italsider/Ilva è uno grande spazio vuoto e qualche struttura superstite. Eppure prima che smontassero i forni e le altre mega-strutture per venderle all'estero, qui lavoravano migliaia di persone. L'enorme impianto siderurgico del gruppo Ilva fu costruito nel 1905. La zona era già industriale nel 1800. L'Ilva/Italsider, già ad inizio secolo, occupava una superficie di 120 ettari. Nel 1954 venne poi costruito a sud dell'Ilva l'altoforno della Cementir, mentre nel 1962 le necessità di ampliamento dello stabilimento portarono alla costruzione di un riempimento a mare (colmata) e di un lungo pontile di 900 metri per lo scarico del ferro.

L'Ilva nacque ai primi del Novecento per volontà di industriali del Nord. Durante la prima guerra mondiale, per sfruttare le opportunità offerte dalle commesse belliche, l'Ilva acquisì a caro prezzo aziende cantieristiche e aeronautiche. A guerra finita la società ebbe gravissime difficoltà finanziarie. Nel 1921 la Banca Commerciale Italiana, il maggior creditore dell'azienda, rilevo l'Ilva. Con la costituzione dell'Iri, la società e tutte le altre imprese possedute dalla Banca Commerciale passarono in mano pubblica. L'Ilva, che nel frattempo era stata chiamata Italsider, divenne una delle imprese di stato più grandi. L'Iri nacque nel 1933 per volontà del governo fascista che voleva evitare il crollo del sistema creditizio investito dalla crisi 1929. Fu mantenuta dagli alleati che invece di smantellarla nel 1944 entrando a Roma nominarono due commissari, Sergio Fortis e Onofrio Pompucci. Nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di riferimento e divenne il motore dell'intervento pubblico nell'economia italiana.

Il ruolo dell'Iri fu meglio definito da Oscar Sinigaglia, ex presidente dell'Ilva durante gli anni del fasciscmo e allontanato durante le leggi razziali perché ebreo, che si mise d'accordo con gli industriali privati per aumentare la capacità produttiva della siderurgia italiana. Lo scopo dell'Iri divenne quello di sviluppare la grande industria di base e le infrastrutture necessarie al paese come la siderurgia, le telecomunicazioni e le autostrade. Negli anni Ottanta era diventata un gruppo di circa 1 000 società con più di 500 000 dipendenti. L'Iri è stata un pezzo della storia italiana. Non avremmo l'Eni, l'Enel, Telecom Italia (ex Sip), le autostrade, l'Ilva e tanto altro senza di essa.

E' innegabile che l'Italia è diventata uno dei paesi più industrializzati al mondo negli anni in cui l'Iri era onnipresente. Inoltre, non è sempre stata un'azienda che investiva anche in assenza di profitti, per motivi sociali o di interesse statale. Vi sono state tante differenti epoche che l'hanno contraddistinta. Per esempio il suo fondatore, Alberto Beneduce, credeva nell'assoluto rigore di bilancio e nella limitazione delle assunzioni all'essenziale per garantire un funzionamento snello ed efficiente dell'organizzazione. Al contrario negli anni settanta si preferì investire anche a fronte di perdite. L'Iri fu un mondo complesso e molto interessante, figlia di un paese che credeva nel futuro e ha attraversato epoche storiche molto differenti.

Oggi chi pianificherà la nuova Bagnoli sopra le ceneri di quello che fu l'Ilva, da una parte deve imparare dagli errori del passato, ma dall'altra deve avere la stessa fiducia nel futuro che gli industriali e lo Stato di un tempo ebbero.

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