Cronache

Bello il Paese che si ferma per Frizzi

Un bravo ragazzo. E stavolta la fama del personaggio coincideva con la verità della persona. Perché anche se da poco sessantenne, nella considerazione generale come nella realtà questo era Fabrizio Frizzi: un bravo ragazzo. Sia detto senza intenti riduttivi. Al contrario: con la tenerezza e l'affetto che la persona ispirava, in chiunque l'incontrasse. Perché aveva rispetto per il suo pubblico, Fabrizio. Rispetto vero. Prestava cioè (...)

(...) attenzione a chiunque; chiunque trattava con sensibilità, con delicatezza. Difficile trovare nell'ambiente qualcuno giornalisti, colleghi, addetti ai lavori - che non possa ampiamente testimoniarlo. Se poi si tiene conto che proprio su queste doti umane Frizzi aveva costruito una professionalità sobria quanto affidabile, si capisce come oggi anche il comune telespettatore possa provare per lui l'affetto spontaneo che si ha per «uno di famiglia». In una tv sempre più travolta dal becerume calcolato, dallo scandalismo redditizio, il «golden boy» di Scommettiamo che? e de L'eredità resisteva fedele ad uno stile che, senza suonare sorpassato, teneva in dovuto conto le elementari buone maniere. Da quand'era il giovanottone occhialuto del Barattolo, fino al sornione (e brizzolato) signore de L'eredità, Frizzi non ha mai provocato il suo pubblico. Non l'ha mai preso per i fondelli, non l'ha mai titillato, mai scandalizzato. Anche se magari (specie da quando questa è la moda imperante) gli sarebbe convenuto. Ma lui non ne sarebbe stato capace: semplicemente. E questo rispetto autentico il pubblico lo percepiva; questo, per chi ama una tv in cui il rapporto umano pesi ancora, e ancora conti il valore della discrezione, ha la sua importanza. Perfino in certi suoi modi - se si vuole - un po' troppo portati all'entusiasmo, la gente intuiva un entusiasmo vero; una passione autentica per il lavoro e per la vita. Il ragazzo era fatto così; e così lo si amava.

Fabrizio seppe vivere nella discrezione perfino le difficoltà causategli dal direttore generale della Rai Celli, che dichiarò di «vergognarsi» di un suo show, nonostante i numerosi salvataggi di programmi in crisi da lui compiuti, e l'amarezza di non essere mai stato chiamato (unico, fra i grandi della tv) a condurre Sanremo. Ma questo senso della misura in scena, lo viveva anche nel privato. Con discrezione donò il midollo spinale ad una bambina malata; ne parlò pochissimo, e solo per spingere altri a seguire l'esempio. Con discrezione prestò servizio sui treni bianchi dell'Unitalsi, l'associazione che porta i malati a Lourdes, servendoli (chi scrive può personalmente testimoniarlo) in tutta umiltà, da semplice barelliere. Con discrezione visse anche il black out dell'ischemia: i pochi commenti pubblici su quello che si sarebbe rivelato un tragico, ultimo appello, erano tutti improntanti alla positività, all'ottimismo.

Tutto questo il pubblico lo ha avvertito. E spontaneamente (quanto a ragione) attribuito, oltre che al personaggio, anche alla persona. Con la sua fedeltà a se stesso Frizzi si è conquistato l'amore del pubblico. Perché si può essere - e rimanere bravi ragazzi per tutta la vita.

E l'Italia intera, in questa occasione per niente cinica, se ne è accorta.

Paolo Scotti

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