Cronache

Biomedicina per giovani ricercatori all'Humanitas

La collaborazione fra settore pubblico e privato, è un fattore chiave per il futuro della ricerca biomedica in Italia. Lo sottolinea fermamente la seconda edizione del Novartis BioCamp Italia. Un workshop riservato a 34 giovani ricercatori italiani, impegnati in ambito biomedico, svolto insieme all'Irccs Istituto Clinico Humanitas. L'iniziativa si colloca proprio nell'ottica di una più stretta cooperazione, tra mondo scientifico accademico e settore privato, nel proposito di offrire sbocchi concreti alla ricerca italiana e valorizzare pienamente le risorse di cui il Paese dispone. Risorse di alto livello, come i giovani che hanno preso parte al BioCamp.

«La reale valorizzazione di questi talenti, a beneficio del Paese, può avvenire solo favorendo un trasferimento più efficace e fluido tra ricerca di base e ricerca applicata», osserva Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Irccs Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University. «Se guardiamo i dati a livello europeo, le regioni italiane più avanzate, come la Lombardia, hanno una produttività scientifica in ricerca di base simile a quella di altre regioni chiave, come la Baviera, la Catalogna, l'Ile de France. Ma poi da noi manca appunto la capacità e la possibilità di operare il trasferimento tra ricerca di base e applicata. Il collo di bottiglia tra questi due ambiti è troppo stretto. Da questa situazione è possibile uscire collaborando in modo virtuoso con l'Industria». In termini di esperienze innovative pubblico-privato, risultati straordinari possono essere raggiunti sul fronte terapeutico. Un esempio eclatante riguarda l'applicazione delle terapie cellulari, nella lotta ad alcune forme di leucemia.

«La collaborazione tra Novartis e la Perelman School of Medicine della University of Pennsylvania - spiega Gaia Panina, chief scientific officer di Novartis Farma - ha permesso lo sviluppo, attraverso una tecnologia estremamente innovativa, di una terapia che, secondo uno studio reso noto proprio in questi giorni al congresso dell'American Society of Hematology (Ash), è in grado di trattare in modo risolutivo il 92 per cento dei casi la leucemia linfoblastica acuta nei bambini che ne sono affetti.

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