Cronache

Brindisi, tutto da rifare Al puzzle dei pm mancano troppi pezzi

Tra fughe di notizie e caccia alle streghe l'assassino di Melissa rischia di farla franca. Intanto spunta un nuovo sospettato

Brindisi, tutto da rifare Al puzzle dei pm mancano troppi pezzi

Tutto sbagliato, tutto (o quasi) da rifare. Si ricomincia con calma, senza sapere se - e quando - la caccia all’uomo nero andrà a buon fine. È acqua passata l’ottimismo della prima ora, sbandierato domenica mattina in conferenza stampa dal procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli, eppoi impietosamente ridimensionato dal procuratore antimafia di Lecce, Cataldo Motta, che polemica dopo polemica gli ha scippato l’inchiesta rimodulando il reato da semplice strage a strage con finalità di terrorismo, e con ciò rilanciando le piste subito snobbate: mafia, criminalità organizzata, eversione.

La fortuna di avere un video con l’immagine del killer della scuola anziché bruciare i tempi delle indagini sembra averli dilatati. Non ha aiutato la pressione politica e la sete di giustizia fai-da-te, sfociata nell’assalto alle volanti. Ha innervosito la continua fuga di notizie e quel provocatorio beau geste delle cosche pronte a collaborare, a modo loro, alle ricerche. Soprattutto non ha giovato al morale veder vanificato il dispendio di energie (ci sono poliziotti che non dormono da giorni) nella corsa a incastrare persone insospettabili schiacciate dagli indizi, che oltre a non crollare mai se ne sono sempre tornate a casa insieme al loro alibi di ferro.

La fortuna di aver registrato quel volto s’infrange sulla sfortuna di non averne trovato uno identico cui accostarlo. Migliaia i confronti tra filmati e foto segnaletiche, identikit e fototessere sulle carte d’identità dell’ufficio anagrafe del Comune. Niente. Eppure un’ultima speranza c’è, anche se si fanno gli scongiuri per evitare le brutte figure capitate con i due «mostri per un giorno»: l’ex ufficiale dell’Aeronautica e il radioamatore del quartiere Sant’Elia sputtanati mediaticamente. È collegata a una persona davvero al di fuori di ogni immaginazione, residente a pochi chilometri da Brindisi, spiccicata a quella del video incriminato, che nulla ha a che vedere col mondo della scuola. Viene monitorata e seguita in ogni istante di vita, e quelle poche volte che esce di casa per il giornale o il caffè al bar, ha addosso un esercito di sbirri invisibili.

Incrociamo le dita. A quest’ultima opzione fa da contraltare la routine di un’indagine finalmente vecchio stile, che non tralascia la pista interna alla scuola, la vendetta personale che porta a Mesagne (il paese di Melissa), il gesto isolato di un folle come il norvegese Breivik, oppure scientificamente destabilizzante alla Unabomber. Polizia e carabinieri, giocoforza, son costretti a ripescare dal cestino l’ipotesi mafia, cui pensano ormai solo i vertici della Dna, qualche pm amante della «trattativa» e quanti credono al simbolismo dinamitardo, legato alla moglie di Falcone cui era dedicato l’istituto professionale, alle carovane e ai premi antimafia, alle bombe al presidente antiracket, al ventennale di Capaci, al tentato suicidio di Provenzano, alla residenza pugliese della figlia di Riina e via impazzendo. Idem per la criminalità organizzata, che se deve far saltare saracinesche o cristiani usa il tritolo e non il gas, e che ci ha messo addirittura la faccia per condannare l’agguato e annunciare che se all’omicida arriva prima della polizia non lo consegna certamente vivo.

Coi vecchi del mestiere le giovani leve della questura battono tutte le strade, quartieri interi. Il porta a porta è capillare quanto disarmante. Brindisi non è certo New York e se ancora mister X non è saltato fuori insieme al movente allora c’è da preoccuparsi. Il fantasma del telecomando, è il timore di chi indaga, potrebbe concedere anche il bis. Per depistare le indagini, sfidare chi indaga, alimentare la paura. E se gli inquirenti sembrano aver accusato il colpo di un’indagine che si pensava chiusa prim’ancora di aprirla, il bastardo ha resistito alle pressioni investigative, alla trappola della procura (che sperava si consegnasse sentendosi braccato), al video che lo immortala, alle testimoni che hanno tratteggiato l’identikit di un tizio vicino al cassonetto la notte della strage, alle studentesse ferite che se lo ricordano con fare morbosamente maniacale nei giardini davanti alla scuola. Ma perché l’assassino ha scelto proprio Brindisi, quell’istituto, quell’obiettivo, quelle ragazze? Perché ha agito con modalità terroristiche, che però non sono proprie dell’eversione nostrana, di Cosa nostra e dei nipotini della Scu? È un pazzo? Un mezzo pazzo però lucidissimo per l’altra metà? Ha fatto tutto da solo? Vediamo.

Mettere in piedi un ordigno del genere è roba da professionisti, non da apprendisti stregoni. Per dettare i tempi con telecomandi a doppia funzione che attivano inneschi sensibili al movimento occorre padronanza dei mezzi elettronici, sangue freddo e un’attenzione maniacale ai dettagli. Che gli è mancata la mattina dell’attentato allorché s’è fatto beccare da due telecamere ben visibili sul chiosco davanti all’istituto Morvillo Falcone. Un passo falso inconcepibile per un picciotto di mafia o un sicario brigatista, un errore che rischia di mandare all’aria un’azione altrimenti perfetta. Il piano stragista conterebbe tra i protagonisti un complice, forse un familiare, certamente una persona di assoluta fiducia del killer se è vero che quest’ultimo – stando al video – avrebbe una camminata claudicante e la mano destra offesa. E dunque non si capisce come possa aver fatto, utilizzando esclusivamente la mano sinistra, a trasportare sul luogo del delitto le tre bombole di gas infilate in un cassonetto caricato (sempre da solo) dentro un furgoncino banco guidato chissà come.

Ad avvalorare quest’ipotesi c’è il dettaglio delle testimoni che la notte prima del botto hanno notato un uomo vestito di nero trafficare col cassonetto poi saltato in aria: la loro descrizione, però, non corrisponde al cinquantenne col telecomando. Mezza Brindisi è stata passata ai raggi X da ben dodici squadre di investigatori composte da oltre 150 unità. Tra i perquisiti, i controllati e quelli presi a sommarie informazioni c’è l’estremista di destra, il boss del contrabbando, l’anarchico locale testa di ponte con la Grecia, l’ultras che tira petardi allo stadio, l’antennista e l’elettrotecnico, il pedofilo con precedenti, l’ex bidello, il nostalgico militare, l’appassionato di comunicazioni col baracchino, il venditore di bombole in nero, fino al misterioso 24enne afghano che maneggiava esplosivi e che adesso è uccel di bosco. L’esperienza insegna che più passa il tempo, più la soluzione del giallo si allontana.

Speriamo nell’eccezione che confermi la regola.

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