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Per capire Trump inventano la post-verità

Dalla Brexit alle elezioni Usa, accusano le bugie in politica. Ma l'emozione ha sempre contato

Per capire Trump inventano la post-verità

Comandare è far credere, insegna Machiavelli. E in un'inedita rivalutazione dell'arte del mentire, gli esperti degli Oxford Dictionaries incoronano «post-truth» come parola internazionale dell'anno. Battute le rivali «alt-right» (la destra alternativa americana) e «Brexiteer» (fautore della Brexit), arriva un'autorevole conferma per chi crede che la verità, intesa come aderenza ai fatti, sia un concetto ormai fuori del tempo.

Va da sé che in politica le bugie sono sempre esistite, nel 1986 Ronald Reagan, nel pieno dello scandalo delle armi per la liberazione degli ostaggi in Iran, costretto ad ammettere quel che aveva negato sino ad allora, scandiva candidamente: «Il mio cuore e i miei intenti mi dicono ancora che è vero, ma fatti ed evidenza mi suggeriscono il contrario». Non c'era internet, si viveva bene pure senza twittare, agli inizi del Terzo millennio invece il tweet è la regola, e la dichiarazione mendace, l'inganno verbale, l'autentica panzana assurgono ad armi convenzionali dello scontro politico. Per gli Oxford Dictionaries, «post-truth» si riferisce alle «circostanze in cui fatti oggettivi sono meno influenti nel modellare l'opinione pubblica rispetto ad appelli emotivi e convinzioni personali». Verità o bugia, conta solo convincere, suggestionare, persuadere. L'aggancio alla realtà, la verifica controfattuale, la corrispondenza tra il detto e il vero sono dettagli secondari.

L'espressione, usata per la prima volta una decina di anni fa dal blogger David Roberts sul sito ambientalista Grist, conosce la sua età dell'oro soltanto di recente: secondo gli esperti del prestigioso vocabolario inglese la sua frequenza d'uso nell'anno in corso «è aumentata del 2.000 per cento rispetto al 2015», in coincidenza con il referendum britannico sulla Brexit e con la campagna tambureggiante per la Casa Bianca. Tuttavia sarebbe miope analizzare la fortuna di The Donald attraverso le lenti della menzogna: il candidato inviso all'establishment e sottovalutato da giornali e sondaggi non è President-elect in quanto «professional liar», bugiardo professionista. Ciò non toglie che le bugie, la retorica sopra le righe, le bufale reiterate sul certificato di nascita di Obama «fondatore dello stato islamico», abbiano giocato un ruolo rilevante nella costruzione del consenso.

Alla post-truth politics l'Economist, lo scorso settembre, dedica una copertina dal titolo «L'arte di mentire», deformazione contemporanea alimentata dall'uso spasmodico dei social media come fonte di notizie e dalla crescente sfiducia nei fatti come rappresentati dall'establishment. Al di qua dell'Atlantico, il caso eclatante è la Brexit: i favorevoli all'uscita dall'Ue ripetono messaggi martellanti palesemente falsi, come l'ingresso della Turchia entro il 2020 o il costo astronomico della permanenza britannica (350 milioni di sterline a settimana). «Hoaxes», bufale, che ripetute all'infinito su Facebook e Twitter, condivise milioni di volte, assumono i contorni di un'ingannevole verità. I social media, in cui ogni utente è editore di se stesso, amplificano il meccanismo mistificatorio con effetti imprevedibili.

Dalle scie chimiche ai microchip sottopelle, dall'11 settembre alla causalità tra vaccino e autismo: l'armamentario complottistico del M5S non ha eguali nel panorama politico nostrano. Come rivelato dalla Stampa, a seguito di un esposto del sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti, la procura competente indagherà sull'identità di un account Twitter, tale Beatrice di Maio, che nell'opera quotidiana di demonizzazione anti-Pd si sarebbe reso responsabile di reati come calunnia e diffamazione. Bollando, per esempio, come «mafiosi» lo stesso Lotti ritratto in una foto insieme al premier Renzi e ai ministri Boschi e Delrio. L'ipotesi è che non si tratti di un troll qualunque, di un attivista imbizzarrito, ma di una strategia messa a punto lucidamente da una cabina di regia assai vicina ai vertici del M5S. Perché, se nella post-truth politics i fatti non contano, contano solo le emozioni, tanto vale imparare a manipolarle sapientemente.

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