Cronache

Ma come cattolici noi ti chiediamo scusa

Ma come cattolici noi ti chiediamo scusa

Sgomenta l'età: 17 anni. E sgomenta quella precarietà che affonda nei misteri della psiche. Non una malattia fisica che ti divora come un drago ma un cumulo di sofferenze insostenibili per lo spirito. Come uno zaino troppo pesante che nessuno ha aiutato Noa a portare. Cosi la vita appassisce prima ancora di sbocciare. C'è qualcosa che stride in questo addio così meditato, cosi feroce nella sua determinazione, così disumano nel suo allestimento: la madre, i medici, i giudici, la catena degli affetti e degli educatori che invece di afferrare per i capelli la disperazione di una ragazza, invece di risospingerla verso l'età adulta, invece di accompagnare la sua fragilità, certifica la sconfitta, la resa, la rinuncia a restare di qua. Certo, ci risponderanno che Noa era decisa, non ce la faceva più, era annichilita dalle disgrazie di un'esistenza disgraziata. Tutto vero. Tutto a regola d'arte con i timbri della legge e della coscienza al loro posto. Nessuno ha sbagliato e però tutti hanno fallito: si parla con disinvoltura, anche fra i cattolici, della sacralità della vita, spruzzando le parole con l'acqua santa di una fede facile, ma mai come questa volta appare evidente il limite della cultura contemporanea: nessuno che riesca a convincere una giovane, ancora immersa nell'età dei sogni, che la vita è più grande delle miserie che l'affliggono e che è un peccato tirarsi indietro quando si dovrebbe andare avanti. Incamminarsi verso l'amore, le emozioni, la scoperta di sé. Non vogliamo riaprire la diatriba sull'eutanasia, anche se spostare i paletti rischia di far franare tutto, ma purtroppo un concetto è evidente: come è piccola la società che non regala a un diciassettenne la speranza di cui ha bisogno, che non lo strattona per scuoterlo dai suoi fantasmi maligni, ma lo spinge giù, nel gorgo, come avrebbe detto Cesare Pavese. Condannando Noa a una solitudine cosmica nel nome di quei diritti soggettivi che tengono alta la bandiera dell'individualità e decretano la morte dell'io. L'io e le sue eterne domande che nessun guinzaglio può frenare. Ci vorrebbe, ci sarebbe voluto un abbraccio più grande della paura e non la paura di toccare certezze che rinnegano quel che siamo. Tutti. Compresa Noa che non ha preferito la morte.

Ma si è fermata prima ancora di iniziare la sua corsa.

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