Cronache

Per la Cassazione, litigare davanti ai figli è reato

I litigi, anche se non rivolti ai figli, possono danneggiare il loro equilibrio psicofisico

Per la Cassazione, litigare davanti ai figli è reato

Oggi, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che litigare violentemente davanti ai figli costituisce reato, perché le liti sono assimilabili a maltrattamenti in famiglia.

Il caso è arrivato all'attenzione della Corte suprema dopo che una mamma ha fatto ricorso, perché condannata, insieme al convivente, per aver litigato in modo violento davanti ai bambini. Sembra, infatti, che i rapporti tra i due fossero spesso molto tesi e che il nervosismo sfociasse frequentemente in episodi di aggressività fisica e psicologica, accompagnati da minacce e "danneggiamenti di suppellettili". La donna ha chiesto l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Firenze, sottolineando il fatto che i bambini non fossero mai stati"direttamente oggetto di aggressioni o soprusi, né di violenza psicologica", come aveva confermato anche il consulente tecnico della procura, secondo il quale i bambini non avevano manifestato segni di disagio familiare.

Tuttavia, gli ermellini hanno sottolineato, come riporta Studio Cataldi, che il raggio di copertura dei maltrattamenti si estende a tutti i soggetti della sfera familiare, anche se non implicati in modo diretto. Infatti, i litigi possono avere "ripercussioni negative sull'equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell'ambiente familiare". I bambini costretti ad assistere alle liti dei genitori possono, quindi, riportare danni psicologici, ipotesi confermata anche da Maddalena Cialdella, psicoterapeuta familiare e consulente del tribunale. E non sarebbero solo i bambini, anche molto piccoli, a subire le conseguenze di un clima di tensione costante, ma persino i feti sarebbero in grado di percepire cosa avviene nell'ambiente esterno, attorno a loro.

Nonostante la Cassazione sia d'accordo con la sentenza dell'appello, questa è stata annullata. I giudici di secondo grado, infatti, hanno scritto una "motivazione sommaria", riprendendo le conclusioni del consulente tecnico, ma senza verificarle.

Per questo, sarebbe necessario un nuovo processo, ma ormai il reato è caduto in prescrizione e risulta, quindi, estinto.

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