Cronache

Che tristezza il TripAdvisor delle notizie

Che tristezza il TripAdvisor delle notizie

L'informazione è nel mirino. Non è una difesa di categoria - Dio ce ne scampi! - ma una questione di libertà. Questa storia delle fake news sta prendendo una china pericolosa. Sta diventando la scusa per dare un pesante giro di vite all'informazione, specialmente quella meno apprezzata da radical e buonisti. Ricapitoliamo. La scorsa settimana Mark Zuckerberg - presidente mondiale dell'impero dei social network - annuncia ai suoi sudditi: da oggi sulle vostre bacheche di Facebook vedrete meno notizie, perché girano troppe bufale e quindi preferisco farvi vedere gattini, cagnolini o i selfie di vostra cugina. Tutto va bene, madama la marchesa. Dopo pochi giorni il sovrano cambia idea: saranno direttamente i naviganti a scegliere quali sono le fonti più affidabili di informazione. Sovrano illuminato, si potrebbe immaginare. Ma un dubbio si insinua: le notizie non sono esattamente come le polpette - anche se alcune sono avvelenate - e così facendo Facebook, che al momento è una delle più grandi edicole del mondo, rischia di trasformarsi nel TripAdvisor del giornalismo. E su TripAdvisor più che la democrazia vige il casino, per cui il ristorante più buono di Milano diventa un baracchino che frigge arancine nell'olio del motore di un'auto e un ristorante stellato precipita in fondo alla classifica. Di più: immaginatevi le squadracce digitali grilline come potrebbero scatenarsi contro una testata giornalistica che ha osato criticare il loro operato. E il discorso vale per tutti gli schieramenti politici. Tutte le idee controcorrente rischiano di essere messe al bando non dai propri lettori, ma dai propri non lettori. Perché ora se io vado in edicola e compro il quotidiano X non impedisco a un altro di acquistare il quotidiano Y. Invece con il nuovo editto di Zuckerberg questo può accadere. E chi garantisce quali sono le reali preferenze degli utenti? Ovviamente Facebook. Giudice inappellabile di ciò che si può o non si può vedere. A farne le spese sono i lettori che rischiano di vedersi restringere il menù dell'offerta informativa. Ma a farne le spese è anche tutto quel pensiero che non vuole essere unico e che da molti, per semplificazione, viene derubricato sotto l'etichetta di politicamente scorretto. Ma qui l'unica vera scorrettezza è pensare che il lettore sia un cretino e non possa autonomamente decidere quello che vuole realmente leggere, senza che lo scelga il proprio vicino di scrivania.

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