Sgarbi quotidiani

Chi non fa "luce" su Cosa nostra

Chi non fa "luce" su Cosa nostra

Così lesti a seguire le indecifrabili suggestioni di mafiosi intercettati che sembrano pronunciare il nome di Berlusconi, i magistrati hanno mostrato poca attenzione per alcuni chiarissimi riferimenti di Riina che appaiono, senza incertezze, una vera e propria eredità, se non confessione, nelle celebri intercettazioni di cui si sono raccolte, diffuse e consacrate come verità rivelate, le minacce al pubblico ministero Di Matteo. Come si è visto erano parole nel vuoto, e il potere assassino di Riina si era trasformato piuttosto in uno sfogo con imprecazioni senza conseguenze reali. E infatti, Riina è morto, e di Matteo è vivo e vegeto. Da quel giorno, quando Riina parlava, dal carcere di Opera, nell'ora di socialità, sono passati quattro anni: «A Di Matteo farei fare la fine del tonno». Vanterie. Molto più concrete sembrano invece le rivelazioni su Matteo Messina Denaro: «... questo signor Messina, questo che fa il latitante, che fa questi pali... Eolici... i pali della luce... se la potrebbe mettere nel... Questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa pali per prendere soldi... È stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta.... Si è messo a fare la luce... E finì, e finì... Fa luce! (...) E a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare». Implicitamente, l'ultima frase indica l'impotenza di Riina in carcere. Ma sulle altre rivelazioni perché non si è ancora fatta «luce»?

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