Cronache

Coi videopoker truccati costruisce un impero Sequestro milionario

Inchiesta a Reggio Calabria: il "re delle macchinette" era partito da una sala giochi. Sequestrati beni per 330 milioni, tra cui 260 immobili, tele di Picasso, Dalì e Ligabue

Coi videopoker truccati  costruisce un impero  Sequestro milionario

Reggio Calabria - Quadri firmati di De Chirico, Dalì, Guttuso, Picasso, Ligabue. Opere che fino al giorno del suo arresto facevano bella mostra nell’abitazione di Gioacchino Campolo. La collezione più ricca da Roma in giù, un patrimonio confiscato a un imprenditore calabrese da sempre ritenuto vicino ai clan. Aveva anche rimediato una condanna a 18 anni di carcere. Un tesoro dal valore superiore ai 330 milioni euro tra quadri, patrimonio aziendale e beni mobili e immobili che adesso incamera lo Stato.

Le Fiamme gialle, su disposizione del tribunale, hanno infatti confiscato l’impero di Gioacchino Campolo, «il Re dei video poker» di Reggio Calabria. Nel luglio 2008 a Campolo furono sequestrati beni per 25 milioni. Qualche mese dopo, il 13 gennaio 2009, l’imprenditore fu arrestato con l’accusa di trasferimento fraudolento di valori, e subì un secondo sequestro di beni per un valore di circa 35 milioni di euro,

Le indagini, ora hanno incrociato dati e verificato i conti del patrimonio aziendale e delle quote sociali della Grida srl e della Sicaf che costituiscono l’intero patrimonio della ditta individuale Are. Secondo quanto accertato dagli investigatori, nel corso degli anni ha accumulato un patrimonio, illecito, di inestimabile valore. Oltre duecentosessanta immobili, quindici fra auto e motocicli, tutti i conti correnti, portafogli titoli, depositi di risparmio, posizioni assicurative, in sequestro, con saldo attivo superiore a 1000,00 euro intestati a lui o ai suoi familiari, il patrimonio aziendale e le quote sociali della Grida srl e della Sicaf due srl e l'intero patrimonio della ditta individuale Are. Una cifra enorme.
Il giudice ha accolto il quadro accusatorio e le risultanze delle analisi dei periti incaricati dai pm e degli uomini della Finanza che per mesi hanno incrociato dati, verificato conti, stimato il valore di immobili sparpagliati a Reggio Calabria, Roma, Milano, Parigi, così come le tele firmate da artisti di fama internazionale. Campolo, viveva da «re». Un giro di milioni di euro proveniente dall’utilizzo e noleggio di macchine da gioco truccate, slot machine sconosciute ai monopoli di Stato i cui proventi sono stati investiti nel mattone.

Macchine taroccate e doppia contabilità a cui si aggiungono atti intimidatori e vere e proprie estorsioni ai danni di diversi titolari di case da gioco, a cui l’indagato imponeva l’installazione delle proprie «giochi». Non solo. Aiutava gli imprenditori in difficoltà, con prestiti da usura e, quando questi non riuscivano più a restituire il dovuto, si faceva intestare le attività commerciali. Cosi in poco tempo, il re del videopoker era diventato un potente imprenditore della cosidetta «zona grigia» vicino alle cosche ma che ha rischiato di morire per l’eccessiva avidità. Le ’ndrine avevano deciso sul finire degli anni 80 di fargli pagare con la vita il suo modo di fare.

Avevano già scelto il killer, quel Mario Audino, che salterà in aria in pieno centro a Reggio con la sua auto qualche anno dopo. È lo stesso magnate a raccontarlo a una sua segretaria. «Per un paio di sere, qualcuno mi ha seguito». Per questo fece installare vetri antiproiettile e antisfondamento nella sua casa in centro. Mario Audino, colui che avrebbe ricevuto l’incarico di ucciderlo, racconta ancora Campolo, nelle intercettazioni si recava da lui e lo «baciava». Aggiunge che Audino aveva già preparato una Fiat Uno da utilizzare per l'omicidio. Durante la conversazione, Campolo legge al suo interlocutore stralci, che lo riguardavano, del verbale redatto dai magistrati che riguardano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanbattista Fracapane, che aveva rivelato il piano omicida. Notizie fino a quel momento ancora riservate, ma che Campolo già conosceva.

Perché il «Re dei video poker», fino al suo arresto aveva entrate anche negli ambienti delle forze dell’ordine e della magistratura. Un imprenditore nato dal nulla, come dicono le carte delle varie ordinanze e che dal nulla ha costruito un patrimonio. All’inizio con il noleggio di giochi e video giochi nelle sale e nei bar della città, poi man mano, divenuto amico delle cosche a cui riciclava soldi in cambio di «assicurazioni sulla vita».

Per questo motivo il Boss Orazio De Stefano, capo indiscusso di una delle famiglie mafiose più importanti di Reggio, gli salvò la vita che altre ndrine avevano deciso di toglierli.

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