Economia

Comunque vada pagheremo noi

Comunque vada pagheremo noi

La volontà del governo è chiara: non vi è alcuna disponibilità a offrire garanzie ad Arcelor Mittal. E a questo punto sembra evidente che la società franco-lussemburghese lascerà l'Italia. D'altra parte, l'esecutivo non ha mai mostrato alcuna volontà di cercare una soluzione che salvaguardasse i posti di lavoro e le esigenze ambientali. In mancanza di ogni minima ragionevolezza, è ovvio che un investitore può solo andarsene.

E così non restano che due possibilità.

La prima strada conduce alla chiusura degli impianti. Per la Puglia sarebbe un colpo terribile, dato che in questi anni le acciaierie hanno garantito a tutta l'area un gran numero di stipendi e molte commesse per l'indotto. Molti dicono che l'Italia non deve più puntare sulla siderurgia, poiché i Paesi in via di sviluppo riescono a competere con un basso costo del lavoro. In realtà, l'Arcelor Mittal è un colosso e se ha continuato a cercare una soluzione su Taranto è perché, conoscendo quel settore, ha ritenuto che vi siano margini di profitto e crescita. Nel mercato si può anche fallire: sarebbe bene, però, che a decidere del destino delle imprese fossero i consumatori, e non già qualche politico arrogante.

La cancellazione dell'ex-Ilva, per giunta, ci costerà cara in molti modi. In primo luogo, lo Stato non riceverà più alcuna imposta dall'impresa, né dai dipendenti. Ed è facile prevedere che nessun politico resisterà dinanzi alle richieste di aiuti. I soliti contribuenti già tanto spremuti dovranno farsi carico pure di questo.

L'altra alternativa in pista in caso di uscita di scena di Arcelor Mittal è perfino peggiore. Non a caso è quella che il governo sembra privilegiare: la nazionalizzazione.

Probabilmente si ricorrerà alla Cassa Depositi e Prestiti, che in fondo è una nuova Iri sotto altro nome. Non soltanto da tempo si parla di un suo soccorso ad Alitalia, ma ora è evidente che lo stesso schema si vuole adottare per Taranto.

La retorica degli sfascisti al governo condisce tutto questo con richiami all'ambiente e a criteri di giustizia: perché nella logica giacobina ormai prevalente un imprenditore privato che rischia i suoi soldi è un individuo senza scrupoli (sempre pronto a distruggere l'ambiente e ad affamare il popolo), mentre i boiardi di Stato sono angeli scesi dal cielo per gestirci con saggezza ed equilibrio.

Abbiamo già dato. Ricordiamo tutti cosa sono state le partecipazioni statali: quanti sprechi e quante ruberie si sono avuti attorno allo Stato imprenditore. In queste ore si parla molto del fallimento del Mose: a Roma farebbero bene a ricordare che poche cose sintetizzano maggiormente l'azione statale di quel progetto costosissimo, inefficiente e fonte di una marea di ruberie. La chiusura di Taranto sarebbe un disastro, ma un suo salvataggio con i soldi pubblici e una gestione affidata agli amici degli amici sarebbe perfino peggio.

Se si è ancora in tempo, si eviti questo scempio.

Commenti