Cronache

La confessione di un miliziano rientrato in Italia: "Così veniamo addestrati"

Lavoro regolare in Italia per non farsi notare, piccoli gruppi di 4-6 persone. Il ruolo fondamentale dei "reclutatori". E il passaggio in Pakistan per superare la prova finale e ottenere il via libera

La confessione di un miliziano rientrato in Italia: "Così veniamo addestrati"

Come vive un jihadista che dopo essere andato a combattere all'estero rientra in Italia e si muove nell'ombra, in attesa di compiere una strage? Fa una vita "quasi" normale, come rivela un miliziano pentito al Ros dei carabinieri. "Il terrorista - scrive il Corriere della sera citando le parole di Jelassi Rihad - fa una vita di doppio senso. Fa la vita del terrorista e un'altra vita, diciamo normale, va al lavoro se ha il lavoro in regola. Anzi è preferibile avere un lavoro in regola come copertura, perché l'extracomunitario che lavora e contribuisce allo Stato è apprezzato". Cerca di stare nell'ombra e confondersi con gli altri, apparire normale, anzi più che normale: lavora, guadagna, paga l'affitto e non dà problemi. Farsi notare come un esagitato sarebbe controproducente. Facile capirlo. Rihad è stato reclutato e addestrato nel 2010 con altri due tunisini. Grazie alle sue confessioni è stata sgominata una cellula terroristica in Puglia, e gli uomini dell'Arma hanno potuto ricostruire con minuzia i legami che questa aveva con altri gruppi, sia in Italia (Roma e MIlano) sia all'estero (Belgio e Francia).

Si parte dal "lavaggio del cervello". Questa è la prima operazione: entrare nella testa dei fondamentalisti e renderli ancora più estremisti, pronti a tutto. "I gruppi da quattro o sei persone - rivela Rihad - hanno un legame con altri ma non si incontrano in un appartamento". I contatti avvengono in moschea, dove di solito c'è un capo spirituale che comanda 4 o 5 gruppi. A reclutare i potenziali terroristi sono, a differenza dei militanti, persone abbastanza agiate. Provengono da contesti socio-familiari elitari, hanno una ottima cultura universitaria e di solito hanno viaggiato all'estero e si sono formati dal punto di vista militare. Sono loro, i "reclutatori" a preparare il programma della giornata, basata sull'esaltazione della jihad. Che può avvenire (anzi avviene prevalentemente) a distanza, tramite filmati su internet visionati nei call center o nelle moschee, dove i futuri terroristi passano ore ed ore.

Le guide insistono ossessivamente su un punto: parlano della morte, da cui non si può sfuggire. Non esiste altra via di uscita che quella. La vita, quella vera, viene odiata. L'addestramento avviene direttamente in Europa. Lì si impara a colpire i bersagli, preferibilmente civili. La cosa che più attira i terroristi è questa: seminare la paura tra la popolazione. Più che i risultati in senso stretto, in termini di morti e di danni arrecati, conta soprattutto il senso di inquietudine che le loro azioni riescono a seminare. Qui sta la loro più grande vittoria. Il materiale di propaganda e di studio viene preso da internet: lì si trova tutto (ma bisogna stare attenti a non farsi beccare dalla polizia, per questo esistono mille trucchi). Alla fine, quando il "corso di formazione" è ultimato, il terrorista è pronto per l'addestramento finale: lasciano il lavoro, prendono tutti i risparmi, lasciano la loro casa e spariscono. Vanno nel luogo prescelto per imparare le ultime cose. Lì c'è l'ultimo gradino da superare: bisogna dimostrare di avere grande pazienza e di sopportare ogni tipo di sacrificio. Se uno sopporta tutto e non esplode, significa che è pronto. Altrimenti non c'è spazio per lui, o deve aspettare ancora. A volte mesi, oppure anni. Si devono imparare molte cose, addirittura come camminare: "Perché tu devi viaggiare come un pachistano. C'era il barbiere, il parrucchiere, ti fanno tutto per assomigliare al pachistano, non puoi partire con un aspetto così". Si parte da Roma, o da Milano, con documenti falsi, si arriva a Peshawar

538em;">, in Pakistan.

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