Cronache

Confindustria sotto ricatto si spacca fra Roma e il Nord

Confindustria sotto ricatto si spacca fra Roma e il Nord

Il decreto Dignità, un obbrobrio che ricorderemo come la Fornero del lavoro, ha un merito. Ha fatto capire a tutti la situazione in cui versa Confindustria. O meglio, una parte di essa. Quella che sogna il metodo Marcegaglia e che non passa il questionario di Emma. Il metodo prevede un certa perseveranza. Il rampollo di una famiglia di industriali (o una nuova leva in cerca di veloce fortuna cardinalizia) viene avviato al cursus honorum di viale dell'Astronomia sin da giovanissimo: meglio che tenerlo in azienda. La prima attività si svolge a Roma e poi tra Santa Margherita e Capri. Poi si viene cooptati tra i grandi. Qualche cda del sistema confindustriale. Una fitta rete di rapporti romani. Nel caso della Marcegaglia con qualche inciampo, come il suo vicino di banco, Antonello Montante, paladino della legalità indagato per questioni siciliane. E poi rapporti con la stampa e la capacità unica di contare i voti, con cui scalare le assemblee confindustriali. Obiettivo: la poltrona pubblica.

Insomma, il metodo Marcegaglia è quello che affascina una parte dell'associazione datoriale: la carriera in Confindustria, non per difendere l'interesse legittimo delle imprese, ma per recuperare un buon posticino di lavoro al termine del mandato. Fate questo test agli attuali vertici di Confindustria, il «questionario di Emma»: chi di voi accetterebbe la presidenza di Eni ed Enel? Ai molti che direbbero di sì, occorrerebbe togliere ogni incarico sociale.

Questo banale ragionamento la Casaleggio & associati lo ha fatto da tempo. E lo ha spiegato bene al ministro Di Maio. Che lo ha girato con astuzia a suo favore. Per la verità anche Matteo Renzi aveva capito il giro del fumo. Se la Confindustria romana, che ogni anno spende circa 500 milioni di euro per stare in piedi, si permette di criticare il governo oltre una certa soglia di rumore e in specie il deCretino, inizia l'uscita delle aziende a partecipazione pubblica da Confindustria. Fuori Eni, Enel, Leonardo e via cantando. E poi son guai, finanziari of course. Lo ha fatto la Fiat, non si capisce perché aziende a controllo statale non possano fare altrettanto. Non sarebbe uno scandalo. Anzi a vedere è più uno scandalo andare all'assemblea annuale di Confindustria a maggio e notare come le prime file siamo zeppe di manager pubblici, banchieri e politici. E l'industria dov'è?

Essa c'è. Ed è viva e vegeta. Basta vedere cosa sta succedendo nelle associazioni territoriali del Nord, firmatarie di un appello, edulcorato rispetto alle intenzioni iniziali, pubblicato dal Foglio e ispirato da un industriale doc come Marco Bonometti, presidente degli industriali della Lombardia. Sono arrabbiati, nerissimi con le «favole» raccontate nel decreto Dignità. E lo vogliono denunciare in tutti i modi.

Sui giornali, nei dibattiti, sembra che ci sia una doppia regia. Di critica attutita da parte di Roma, speriamo ci smentiscano. E di circostanziata e dura opposizione della Confindustria del Nord. Da segnalare anche le uscite del sempre moderato presidente veneto Matteo Zoppas, che sul decreto Dignità va giù nettissimo. Ecco, il Paese, quello industriale, è spaccato in due. Con i romani che adottano il metodo Marcegaglia e gli industriali del Nord che più che aspirare alla carta di credito da vicepresidenti o a incarichi pubblici, continuano a fare i sindacalisti delle imprese.

Il rischio, più probabile di quanto si immagini, è che la Confindustria si spacchi. Più che appellarsi al buon senso dei suoi rappresentanti nordici, che non ce la fanno più, conviene che a Roma qualcuno rinsavisca.

Ps: vi ricordate quanta propaganda confindustriale fu fatta per il sì al referendum renziano. Il quotidiano schierato, il centro studi piegato, le interviste dei suoi vertici tutte nella stessa direzione. E ora che potrebbero a miglior ragione difendere gli interessi diretti delle loro imprese e dei loro lavoratori, sembrano invece adottare un linguaggio felpato, da circolo degli scacchi.

Maddai.

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