Cronache

La coppia dell'acido si è già autoassolta: «Veleno contro di noi»

I difensori della Levato: «In aula diremo soprattutto ciò che non ha fatto». La madre di Boettcher: «Mio figlio innocente»

Gli avvocati di Martina Levato fanno il loro dovere. E una mamma continua a difendere il proprio figlio: anche se si chiama Alexander Boettcher. Forse è giusto così. Ma fa rabbia ascoltare certe frasi. I legali di Martina dicono che la loro cliente è più «consapevole» e che «in aula parlerà soprattutto di quello che non ha fatto»; la madre di Boettcher va addirittura oltre: «Mio figlio è innocente. Troppi veleni contro questi due ragazzi». Insomma, Pietro Barbini e Stefano Savi si sarebbero sfigurati il volto da soli, mentre Antonio Margarito avrebbe tentato di evirarsi in un raptus autolesionistico; infine Giuliano Carparelli si sarebbe gettato una secchiata di acido addosso, riparandosi però contestualmente con l'ombrello che impugnava nell'altra mano. La «coppia diabolica» (senza dimenticare il loro terzo complice, Andrea Magnani) vive ormai in un mondo parallelo che non li fa sentire colpevoli di nulla. Niente rimorso. Niente scuse. Niente pentimento. Niente lacrime.

Mario Giordano ha scritto che i veri sfigurati sono loro, perché un volto devastato può anche guarire, mentre un'anima sfregiata è per sempre. La sostanza del dramma è questa. Tutto intorno gira la ruota della riffa giudiziaria che però non restituirà né il volto alle vittime né l'anima ai carnefici. Ma guai a chiamarli così, potrebbero offendersi. Levato e Boettcher ritengono infatti di essere dei «degni genitori» per il piccolo Achille nato a Ferragosto. Il bimbo sarà (per sua fortuna) dato in affidamento a una coppia capace farlo crescere serenamente, ma questa prospettiva è vissuta da Martina e Alex come un «assurdo sopruso» che li priverebbe del loro «sacrosanto diritto alla maternità e alla paternità». Difficile rimanere calmi dinanzi a certe parole. Ma questo è un paese strano. Dove un «prete di strada» si permette di definire «crudele» il giudice che ha giustamente impedito i primi contatti tra Martina e il figlio appena nato; e dove un pm va in ospedale per donare le scarpine al neonato dell'imputata che ha fatto condannare a 14 anni di carcere.

Un paese sempre sopra le righe. Paradossale. Che non dosa le parole. Che sembra non distinguere tra vittima e carnefice. E non sa neppure tutelare chi (come nel caso del piccolo Achille) è davvero innocente. E invece giorni e giorni di «dibattito» sulla presunta «ingiustizia» di aver «scippato» il bimbo ai suoi «legittimi genitori». Che poi questi stessi «legittimi genitori» avessero concepito Achille proprio come una tessera del loro puzzle criminale, a qualcuno deve sembrare un dettaglio da nulla. Certo, gli avvocati fanno l loro dovere. E una mamma difende il proprio figlio. Ma quanto è dura starli a sentire. Soprattutto quando la madre di Boettcher dichiara che «Martina e Alex alla fine saranno buoni genitori». «Alla fine». Ma «alla fine» di cosa? Di un delirio «purificatore» che ha rovinato per sempre l'esistenza di due ragazzi che avranno sempre un brivido nel guardarsi allo specchio. Anche se entrambi possono andare a testa alta. Hanno mostrato di avere dignità da vendere. Quella dignità che Martina e Alex hanno gettato in fondo al pozzo, insieme con le proprie dannazioni.

Ieri, al palazzo di giustizia di Milano, sono andate in scena altre schermaglie procedurali. Inevitabile corollario a una tragedia - l'ennesima - destinata a diventare squallida telenovela per gli avvoltoi di talk show e programmi «specializzati». Chi li fa - senza vergognarsene - è addirittura premiato dall'audience. E allora vai con l'orrore. Quello delle immagini. Ma anche quello delle parole: «Non chiediamo la non imputabilità. Riteniamo che Martina sia imputabile e vogliamo renderla credibile nel momento in cui verrà in aula». E poi: «Martina si sta relazionando bene con gli operatori del carcere in un percorso che, sono sicura, ci consegnerà una Martina diversa, più consapevole. La maternità l'ha certamente cambiata, è collaborativa e non prende farmaci. Per quanto riguarda gli atti di cui è accusata non gli abbiamo ancora chiesto se sia consapevole o meno di quanto fatto perché in questo momento è concentrata in un percorso di recupero che la porterà, una volta in aula, a parlare di quello che ha fatto ma anche, e soprattutto, di quello che non ha fatto».

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