Cronache

Così Boldrini & C. difendono le donne ma non Asia Bibi

L'ossessione dell'islamicamente corretto ci indurrà a bandire la minigonna e a coprire i lividi con un velo? Sta a noi impedire che ciò accada. Il non dire è segno di una civiltà che muore. In questo senso la sopravvivenza di Asia Bibi sia anche la sopravvivenza di tutti noi

Così Boldrini & C. difendono le donne ma non Asia Bibi

Laura Boldrini ci ha insegnato che le parole contano. Per esempio, l'uso dell'articolo determinativo «la» al posto di «il» - la presidente, la ministra, la sindaca - racchiuderebbe l'essenza di una riscossa femminile all'insegna del linguisticamente corretto. Ma se le parole contano, presidente, i silenzi non sono da meno. Asia Bibi potrebbe morire nel silenzio del«la» presidente, del«le» femministe, delle donne-paladine-delle-donne. È più facile indignarsi e scendere in piazza e brandire penne al vetriolo quando c'è di mezzo il comune senso del pudore, la crociata scandalizzata contro la lussuria del potere, banalità del genere. Appare invece più sconveniente scontrarsi con l'islam di Stato che vuole punire con la morte una donna cristiana, Asia Bibi, da sette anni sequestrata in un carcere pakistano e condannata alla pena capitale perché non musulmana.

Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento europeo, ha presentato un'interrogazione a Bruxelles. La sua iniziativa in questa fase delicata si gioverebbe di un sostegno aperto da parte della terza carica dello Stato italiano. Ma di colpo mancano le parole, prevale il silenzio. Riconoscere che gli aguzzini di Asia Bibi sono fondamentalisti islamici bramosi di applicare la legge per loro «sacra» significa ammettere una scomoda verità: non si può affrontare la questione del terrorismo islamico e della segregazione femminile nella società musulmana senza considerare la cornice religiosa che ispira quella forma di integralismo.

Il problema è l'islam. Il problema è il versetto del Corano che recita: «Le vostre donne sono come un campo per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere». Il problema è il paradiso promesso a chi muore combattendo contro gli infedeli: più che a un luogo di beatitudine spirituale, ha detto lo scrittore algerino Kamel Daoud, somiglia a un bordello. E Daoud ha dichiarato di sentirsi libero di esprimere le proprie opinioni in Algeria e non in Francia, dove gli intellettuali, a suo giudizio, si sono arresi all'autocensura in nome dell'islamicamente corretto.Così nel silenzio muore Asia Bibi e muoiono, ogni giorno, migliaia di bambine vittime della pedofilia legalizzata sotto il nome di matrimonio islamico. È come se l'islamicamente corretto avesse inghiottito la nostra coscienza: sappiamo che è sbagliato, ci ripugna, ci fa schifo, ma preferiamo sorvolare e non vedere, è affar loro, per non essere tacciati di islamofobia. Meglio allora visitare una moschea, doveroso tributo al multiculturalismo, coprendo rigorosamente il capo con lo stesso velo che schiavizza la donna islamica. È cosa giusta promuovere un bel convegno alla Camera dei deputati sull'«Islam religione di pace», insieme al teologo sunnita Mohammed al Tayyeb, grande imam di Al Azhar. Lo scorso ottobre Boldrini lo invitò a tenere una «lectio magistralis» ma Il Foglio le guastò i piani svelando il profilo violento e antisemita del predicatore islamico; alla fine l'appuntamento fu annullato per «motivi istituzionali».

A proposito delle percosse alla moglie, l'imam egiziano aveva spiegato: «C'è un programma di riforma. Secondo il Corano, prima si ammonisce, poi si dorme in letti separati, infine si colpisce». E sul livello di percosse ammesso, lo stesso si era precipitato a chiarire: «È più simile a un pugno, a uno spintone». L'ossessione dell'islamicamente corretto ci indurrà a bandire la minigonna e a coprire i lividi con un velo? Sta a noi impedire che ciò accada. Il non dire è segno di una civiltà che muore.

In questo senso la sopravvivenza di Asia Bibi sia anche la sopravvivenza di tutti noi.

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