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Così la Nato ha come alleato un nemico

La minaccia alle porte dell'Europa

Così la Nato ha come alleato un nemico

Il Sultano ha vinto, ma ora la Nato deve fare i conti con il paradosso perfetto. Il paradosso di un'Alleanza Atlantica che, nel nome della democrazia, ha attaccato la Serbia di Milosevic, bombardato la Libia di Gheddafi e combattuto per sedici anni in Afghanistan. Tutto per ritrovarsi a convivere con un aspirante dittatore chiamato Recep Tayyip Erdogan. Un aspirante dittatore che, dal fallito golpe dello scorso luglio a oggi, ha spedito in galera 45mila oppositori e messo in strada 130mila fra insegnanti, magistrati, militari e dipendenti pubblici poco allineati.

Il problema non è solo di facciata. A rendere particolarmente devastante il paradosso di una Nato costretta a convivere con questo signore non è soltanto l'onta di scendere a patti con un presidente pronto a calpestare le più basilari regole democratiche come separazione dei poteri e libertà d'espressione. Il problema vero è la minaccia alla coesione dell'Alleanza rappresentata da un leader pronto a sostituire la democrazia laica con una miscela di nazionalismo islamista di cui è difficile intuire la traiettoria finale, ma di cui conosciamo le premesse. La prima, e più inquietante, emerge dagli slogan con cui Erdogan inneggia alla vittoria contro «le nazioni potenti del mondo» colpevoli di averlo «attaccato» esibendo una «mentalità da crociati». Le nazioni in questione sono gli «alleati» Germania, Olanda e Danimarca. Tre «alleati» colpevoli d'avergli proibito di fare propaganda per il «sì» tra le comunità d'immigrati turchi. Dietro a quel divieto non si nascondeva un semplice sgarbo, ma la scoperta dei piani dei servizi segreti di Ankara, infiltratisi nelle moschee frequentate dalle comunità turche di Germania, Olanda e Danimarca per identificare nemici ed oppositori. E a rendere ancor più tesi i rapporti si sono aggiunte le sguaiate accuse di nazismo rivolte da Erdogan ai tre «alleati». Accuse culminate nella minaccia di usare i migranti come avanguardie di una guerra demografica a tutta l'Europa.

Quale convivenza sia possibile con un «alleato» di questa risma è un mistero che la Nato non spiega. Ragioni e motivi del silenzio sono però facili da comprendere. Nell'ottica degli Stati Uniti, indiscussi capi dell'Alleanza, la Turchia resta una pedina fondamentale per garantirsi profondità strategica nel confronto con la Russia e l'Iran. Una pedina a cui, nel nome della contrapposizione a Vladimir Putin e agli ayatollah, sono stati perdonati persino i massacri di curdi e gli espliciti ammiccamenti ad Al Qaida e all'Isis andati in scena sul teatro turco-siriano.

L'incapacità o la scarsa volontà di porre limiti alla politica di potenza di un Erdogan fuori controllo rischia però di riaccendere conflitti assai pericolosi per la sopravvivenza stessa dell'Alleanza. Lo scontro su Cipro, teatro a suo tempo della guerra con la Grecia, stato membro dell'Alleanza, è esemplare. E ripercussioni altrettanto serie si prevedono nel Nord Irak, dove la Turchia fa già capire di volere trasformarsi, dopo la caduta dello Stato Islamico, nel nuovo paladino dei sunniti, gettando le basi per un nuovo, devastante scontro con curdi, sciiti e iraniani.

E per quanto il nostro governo scelga, nel nome delle politiche commerciali e degli interessi economici, una tranquilla politica del silenzio è difficile non vedere il ruolo giocato dalla Turchia in una Libia dove Ankara continua ad appoggiare quelle milizie islamiste colpevoli di aver trascinato il Paese nel caos.

Certo a invitare alla chiarezza la Nato non saremo né noi né gli altri leader europei. Per tutti i soloni europei, sempre pronti a discettare di libertà e democrazia finché non sono in ballo i propri interessi, è sufficiente che il nuovo dittatore rispetti i patti e continui, in nome dei sei miliardi di euro promessigli dalla Merkel e dall'Europa, a tenersi in casa quei profughi che fino al marzo 2016 affollavano come cavallette la rotta balcanica. Tutto il resto sono per ora solo bagatelle. Ma lo saranno solo fino a quando l'impunito Erdogan non deciderà di buttare l'ultima maschera.

Solo quel giorno realizzeremo che sotto le vesti dell'alleato si nascondeva il nostro vero nemico.

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