Coronavirus

Covid-19 e sindrome di Kawasaki: esiste un legame?

Nell'ultimo mese i pediatri hanno registrato diversi casi anomali di malattia di Kawasaki. Esiste un legame con la pandemia da coronavirus? Ecco cosa dicono gli esperti

Covid-19 e sindrome di Kawasaki: esiste un legame?

Tre bambini sono morti a New York e diversi si sono ammalati in alcuni Paesi. La colpa è stata individuata in una "sindrome infiammatoria acuta multisistemica pediatrica", molto simile alla malattia di Kawasaki. E ora medici e ricercatori si chiedono se possa esserci un legame tra il Sars-CoV-2 e la patologia che colpisce i bambini.

Che cos'è la sindrome di Kawasaki?

Si tratta di una vasculite, l'infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni, che spesso riguarda le arterie di medio calibro, tra cui anche quelle coronariche. È nota dal 1967, quando il dottor Tomisaku Kawasaki, un pediatra giapponese, ne descrisse i sintomi. Colpisce solitamente i bambini minori di 5 anni e progredisce per stadi: dalla febbre e l'irratabilità, si passa a irritazioni, fino all'ingrossamento di un linfonodo.

Ma ecco quali sono i sintomi principali:

  • Febbre maggiore di 38°C, per più di 5 giorni di fila.
  • Rossore a entrambi gli occhi.
  • Lesioni a livello di labbra e lingua, come screpolatura, rossore e gonfiore.
  • Eruzione cutanea sul corpo
  • Mutamenti in mani e piedi (eritema, screpolatura e edema).
  • Ingrossamento di un linfonodo sopra a un centrimento e mezzo di diametro.

La causa della malattia è ancora incerta, ma gli studi ipotizzano diversi possibili eventi scatenanti della sindrome di Kawasaki, che potrebbero interagire tra loro, delineando il quadro di una malattia "multifattoriale". Una delle possibilità è che si tratti della conseguenza di un infezione da virus o batteri, che provocano una reazione sproporzionata del sistema immunitario, che attacca alcune componenti dei vasi sanguigni, sviluppando l'infiammazione. Ma, dato che la malattia di Kawasaki non è contagiosa, il colpevole non può essere solamente un virus. Secondo un'altra teoria, invece, lo sviluppo della patologia potrebbe essere legato a un fattore genetico, che espone alcuni bambini ad un rischio maggiore rispetto ad altri. Infatti, la sindrome ha una frequenza più elevata nella popolazione asiatica, una maggiore incidenza nei fratelli e può comparire nel figli di persone che ne sono state affette.

Per questa sindrome esiste una terapia, che prevede la somministrazione di immuniglobulina per via endovenosa (che consiste nell'iniettare in vena anticorpi prelevati da donatori sani) unita all'aspirina. In alcuni casi, però, soprattutto quando la diagnosi avviene in ritardo, i piccoli pazienti possono incorrere in complicanze, come insufficienza cardiaca, aneurismi, cioè dilatazione a forma di sacco delle arterie coronarie (che può causare attacchi di cuore) e versamento pericardico (raccolta di liquido attorno al cuore).

I sospetti

Nelle ultime settimana, a New York è stata registrata una serie di casi anomali, riconducibili alla malattia di Kawasaki. Secondo il dipartimento della Salute dello Stato, sarebbero circa un centinaio i bambini affetti da una "sindrome infiammatoria multisistemica", con caratteristiche molto simili alla patologia pediatrica. Il sindaco, De Blasio ha rivolto un appello ai genitori: "Chiamate il medico al primo sintomo. Può essere decisivo per salvare la vita a questi bambini". Negli Usa, tre pazienti, di 5, 7 e 18 anni, sono morti per questa rara infiammazione: "È una notizia molto dolorosa e apre un nuovo capitolo", ha commentato il governatore, Andrew Cuomo. La maggior parte dei piccoli pazienti colpiti è risultata positiva al tampone per il nuovo coronavirus o al test che misura gli anticorpi contro il Sars-CoV-2: per questo è sorto il sospetto che le due malattie siano collegate. Il dipartimento della Salute newyorkese considera la sindrome simile a quella di Kawasaki "associata al Covid-19" e sta indagando sui circa 100 casi affetti da questa malattia. L'immunologo americano Anthony Fauci, membro della task force contro il nuovo coronavirus, ha rivelato che "in questo momento, i bambini che presentano Covid-19 hanno una sindrome infiammatoria molto strana e molto simile a quella di Kawasaki". E ha messo in guardia: "Penso che dovremmo stare molto attenti ai bambini, che forse non sono completamente immuni agli effetti deleteri". Anche il Regno Unito ha segnalato un aumento di bambini ricoverati per una grave "sindrome infiammatoria multisistemica", con sintomi simili a quelli della patologia pediatrica scoperta nel 1967. Nell'Unione Europea e nel Regno Unito sono 230 i casi sospetti: a rivelarlo è stato il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in un rapporto urgente sulla valutazione del rischio. I segnali e i sintomi, si legge, "sono un misto di quelli della malattia di Kawasaki e della sindrome da shock tossico e sono caratterizzati, tra gli altri, da febbre, dolore addominale e coinvolgimento cardiaco".

Prima ancora che in Inghilterra, un aumento dei piccoli pazienti ricoverati era stato osservato in Italia, soprattutto nelle zone maggiormente colpite dal nuovo coronavirus. A fine aprile, il segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Società italiana di pediatria (Sip), Angelo Ravelli, aveva scritto una lettera d'allarme, per segnalare "un aumento della frequenza di bambini affetti da malattia di Kawasaki". Oltre a sottolineare la maggiore incidenza nelle zone più colpite dal Covid-19, Ravelli sottolineava che "una quota significativa di questi bambini con malattia di Kawasaki ha presentato, in occasione del ricovero o nelle settimane precedenti all’esordio, un tampone positivo per il virus Sars-CoV-2 o ha avuto contatti con pazienti affetti. Alcuni sono risultati positivi alla sierologia per il Coronavirus, nonostante i tamponi fossero negativi". Per questo, è stato organizzata una raccolta dati, per capire meglio la portata del fenomeno. Parallelamente, i medici di Bergamo hanno condotto uno studio, pubblicato su The Lancet a firma di Lorenzo D’Antiga, direttore del reparto di Pediatria e di Lucio Verdoni, reumatologo pediatra, entrambi dell’ospedale Papa Giovanni XXIIII. La ricerca contiene l'analisi di due gruppi di pazienti: il primo, formato da 19 bambini, comprendeva i casi dal primo gennaio 2015 al 17 febbraio 2020, mentre il secondo, di 10 malati, era composto dai casi rilevati dal 18 febbraio al 20 aprile 2020. Dai dati emerge, quindi, un'incidenza mensile della malattia di almeno 30 volte superiore a quella degli ultimi 5 anni. Infatti, negli ultimi 5 anni, la media annuale dei bambini con sindrome di Kawasaki era di 4 pazienti, soglia più che raddoppiata in un solo mese nel 2020.

La malattia osservata nelle ultime settimane, però, è stata definita "Kawasaki like", cioè simil-Kawasaki, perché alcune delle sue manifestazioni non sono quelle tipiche della sindrome spiegata per la prima volta dal pediatra giapponese. I pazienti, infatti, hanno un'età più elevata rispetto alla media dei bambini che si ammalano solitamente e le complicamze descritte nei casi gravi interessano il muscolo cardiaco e non la dilatazione coronarica, tipica della sindrome di Kawasaki. Anche i sintomi non corrispondono completamente, dato che nei casi emersi dopo la pandemia si registrano anche sintomi gastrointestinali come vomito e diarrea, che non sono presenti nella malattia scoperta nel 1967. Alberto Villani, presidente dela Società italiana di pediatria, ha specificato: "Bisogna essere attenti e studiare la situazione ma, al momento, ci troviamo davanti ad un'entità clinica che alla Kawasaki rassomiglia soltanto, in maniera incompleta". Per questo, "probabilmente stiamo parlando di due sindromi diverse che hanno dei punti in comune".

C'è un legame con il Covid-19?

Al momento, gli studi effettuati sulla possibile correlazione tra Sars-CoV-2 e simil-Kawasaki non permettono di dare una risposta e gli esperti sono divisi sul tema. Alberto Villani ha ammesso l'ipotesi che la sindrome di Kawasaki "possa essere scatenata da infezioni", ma si tratta di una patologia conosciuta dal 1967. Sars-CoV-2, al contrario, è un virus nuovo e "non può essere l'agente scatenante". Al momento, ha precisato ad Huffingtonpost, "non esiste un collegamento provato con il Covid-19". Anche il professor Angelo Ravelli, autore della lettera di fine aprile, ammette che "al momento risulta difficile prendere una posizione netta ed etichettare i casi di sindrome infiammatoria di recente insorgenza". Ma, intervistato dal Giornale.it, ha precisato che "una buona fetta di bambini che ha sviluppato questa malattia o queste complicanze della Kawasaki, è risultata positiva al tampone quindi al coronavirus, o proveniva da una famiglia dove c’erano uno o più componenti infetti. Inoltre l’aumento di questi casi di infezione nei bambini, che prima non c’era, si è verificato proprio in concomitanza dell’avvento del Covid-19". Non è dello stesso avviso Jeffrey Burns, ricercatore dell'ospedale pediatrico di Boston, che sostiene: "Questa sindrome non è direttamente causata dal virus, ma è legata a un'insufficienza immunitaria".

Sul tema si è espressa anche l'Organizzazione mondiale della sanità, che ha spiegato: "Sappiamo del piccolo numero di bambini che hanno subito una risposta infiammatoria simile alla sindrome di Kawasaki: è successo in uno o due paesi ed è una condizione molto rara. Ma stiamo esaminando la situazione insieme al nostro network di clinici". Ma niente allarmismi: i numeri sono limitati e la maggior parte dei casi (in Italia tutti) si sono conclusi positivamente, con la guarigione dei piccoli pazienti.

Anche il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha analizzato la situazione, affermando che "un'associazione temporale possibile con l'infezione Sars-Cov-2 è stata ipotizzata perchè alcuni dei bambini sono stati testati positivi" per il nuovo coronavirus. Tuttavia, specifica l'Ecdc, "non è ancora stata dimostrata" un'associazione tra le due patologie, nonostante appaia "plausibile".

Con i dati disponibili ad oggi è difficile dare una risposta e nemmeno gli esperti hanno un'idea precisa della situazione. Lo studio pubblicato ieri su The Lancet dai medici bergamaschi, però, compie un passo in più verso la comprensione della possibile correlazione tra Covid-19 e sindrome di Kawasaki. "Sembra che l'aumento di casi di questa patologia sia in qualche modo associata all'insorgere del coronavirus", ha detto uno degli autori, spiegando che l'80% dei bambini affetti dalla sindrome è risultato positivo al nuovo coronavirus. I ricercatori hanno ipotizzato che la famiglia dei coronavirus possa avere un ruolo nell'insorgenza della malattia perdiatrica: studi precedenti, infatti, hannon identificato un coronavius umano nelle secrezioni respiratorie di 8 degli 11 bambini affetti da tale patologia. "Ciò suggerisce- scrivono i ricercatori- che la famiglia dei coronavirus potrebbe rappresentare uno dei fattori scatenanti della malattia di Kawasaki, essendo Sars-CoV-2 un ceppo particolarmente virulento in grado di suscitare una potente risposta immunitaria nell'ospite". La ricerca, infatti, mostra che 2 dei 10 bambini appartenenti al secondo gruppo (che prendeva in considerazione il lasso di tempo dal 18 febbraio al 20 aprile 2020) sono risultati positivi al tampone per il nuovo coronavirus, mentre nel sangue di 8 su 10, l'80%, sono stati trovati anticorpi, che indicano avvenuto contagio.

Gli autori dello studio ammettono dei limiti, derivati dallo scarso numero di pazienti studiati e dalla mancanza di studi genetici sulla suscettibilità dei malati: "Difficile trarre conclusioni definitive su un campione così ristretto".

Anche i primi studi dei pediatri di altri Paesi sembrano mostrare una correlazione tra nuovo coronavirus e la sindrome infiammatoria che colpisce i bambini, ma per capire se davvero esista un legame tra le due patologie servono studi più approfonditi. In ogni caso, rassicurano gli esperti, si tratta di casi molto rari e isolati: "Non è che ora il Covid nei bambini sta degenerando in tutti i bambini che si sono infettati- aveva precisato Ravelli al Giornale.

it-Certamente sono segnali importanti, in parte nuovi, che possono essere utili per capire la malattia".

Commenti