Scena del crimine

Esiste un mostro di Milano? "Vi spiego chi uccise Simonetta"

Il criminologo Alberto Miatello che si occupò del delitto della Cattolica smentisce l'ipotesi di un serial killer che uccise almeno 7 donne tra gli anni Sessanta e Settanta: "Non c'è nessun serial killer"

Esiste un mostro di Milano? "Vi spiego chi uccise Simonetta"

Da Simonetta Ferrero ad Adele Margherita Dossena, passando dagli omicidi di Elisa Casarotto, Tiziana Moscadelli e Olimpia Drusi. Sono molti i casi rimasti irrisolti nella Milano degli anni Sessanta e Settanta. Una scia di sangue che, secondo Franco Posa, potrebbero essere ricondotti a un'unica mano. Un'ipotesi non condivisa dal criminologo Alberto Miatello, che si è occupato per anni del delitto della Cattolica e al Giornale.it rivela: "Sono convinto che non ci sia nessun serial killer".

Quando ha iniziato a studiare il delitto della Cattolica?

"Ho iniziato a seguire il caso dal 1998 e ho continuato per almeno 3 anni. C'era una cosa che mi aveva colpito di quel delitto: la presenza di una squadra di operai che lavorava proprio vicino a dove fu uccisa Simonetta e che disse non essersi accorta di niente. Ricostruendo la dinamica poi, mi ero chiesto come avesse fatto l'assassino a scappare, dato che non aveva lasciato lì i vestiti ma doveva essersi macchiato di sangue. Non mi quadrava che l'assassino fosse riuscito a scappare senza essere visto in pieno giorno. Così ho iniziato a studiare il caso".

Cosa fece Simonetta Ferrero il 24 luglio 1971, giorno in cui venne uccisa?

"Quella mattina Simonetta uscì di casa alle 10.30 e con l'autobus impiegò circa 20-25 minuti per arrivare in Sant'Ambrogio e andò in galleria Borella a comprare un vocabolario di francese: il commerciante se la ricordava, erano le 11.10. Subito dopo entrò in una profumeria per comprare un balsamo e uno shampoo, e verso 11.15 entrò all'Università Cattolica probabilmente per usufruire del bagno. Non è così assurdo che si diresse proprio verso quello della scala G, perché forse lei era abituata a usarlo quando frequentava l'Università. Inoltre in quell'area c'erano le bacheche con le tesi di laurea e visto che lei per lavoro selezionava i laureati per la Montedison, potrebbe essere andata a controllare la bacheca in caso ci fosse qualcosa di utile. Dopo la sosta in Cattolica, la ragazza avrebbe dovuto consegnare un campione di stoffa a un tappezziere e andare dall'estetista, dove aveva appuntamento alle 12".

Ma venne uccisa nel bagno della scala G.

"L'aggressione avvenne tra le 11.25 e le 11.30. Probabilmente Simonetta reagì a un tentativo di molestia. Prima l'omicida avvicinò la ragazza nel bagno tentando un approccio, ma lei lo respinse. Poi probabilmente provò una seconda volta e lei reagì in modo deciso, innescando una reazione di rabbia nell'uomo, che iniziò ad accoltellarla, mentre lei cercava di sottrarsi ai suoi colpi e di scappare da quel bagno. L'assassino si era imbrattato di sangue: nel bagno in centro vennero trovate tracce che indicavano come il killer si fosse sfilato la maglia verso l'alto, cambiandosi gli abiti. Purtroppo questi scoppi di rabbia cieca sono tipici di molti delitti 'casuali' che avvengono in varie situazioni: per un diverbio tra automobilisti, per un litigio tra amici o conoscenti per motivi futili, e ovviamente per approcci respinti. L'errore di allora fu pensare che si trattasse di uno squilibrato, ma sono frequenti anche casi di reazioni abnormi a offese e provocazioni".

Chi c'era quel giorno in Università?

"Sono riuscito a rintracciare una studentessa di Economia che era presente quel giorno. Lei ha riferito che quella mattina in Università c'era poca gente, circa 50 persone in totale, di cui una ventina in sala lettura, alcune nei chiostri e altre proprio davanti alla scala G. Non erano molte, ma c'era un numero persone sufficienti a vedere un assassino macchiato di sangue. E poi c'erano i 4 operai. Loro avevano mentito".

Perché è convinto che abbiano mentito?

"Perché è impossibile che ben 4 operai, di cui solo due lavoravano col martello pneumatico, non si siano accorti di nulla. Il rubinetto del bagno era stato lasciato aperto e i carpentieri non potevano non sentire l'acqua che scendeva nei locali vicino a dove lavoravano. Avrebbero potuto pensare di aver rotto le tubature. Nella stanza di fronte al bagno poi lasciavano anche i vestiti e dovrebbero essersi accorti del rubinetto aperto. Quasi sicuramente entrarono in quel bagno, tra le ore 11.30 e le 17 di sabato 24 luglio 1971, e videro il corpo di Simonetta, ma fecero finta di nulla, fino a che lunedì il seminarista non diede l’allarme. Potrebbero essere estranei al delitto e non aver parlato per paura di essere coinvolti, ma c'è un altro elemento sospetto: il fatto che l'assassino si fosse cambiato. Io ho visto le foto del delitto e l’assassino doveva essersi imbrattato di sangue dalla testa ai piedi, dopo avere inferto oltre 40 coltellate alla ragazza: dopo il delitto l’assassino deve essersi ripulito e cambiato in uno dei gabinetti, dove lasciò macchie strusciate dei vestiti. Ma se fosse stata una persona di passaggio come avrebbe fatto? Gli operai, invece, avevano a disposizione abiti di ricambio, tute e borse in cui poter occultare i vestiti insanguinati".

È un caso che potrebbe essere riaperto?

"Riprendere un cold case dopo così tanti anni si può fare solo se si ha in mano qualcosa di concreto. Già nel 1998 quando ho parlato dei miei dubbi col dottor Ugo Paolillo, il magistrato che aveva diretto le indagini all’epoca, due degli operai erano già morti e non c'erano reperti biologici, nuovi documenti o confessioni da cui poter partire per la riapertura del caso. E forse è meglio così, perché dopo 30 o 50 anni o si hanno in mano reperti biologici non analizzati oppure è meglio evitare di giocare con la vita di persone innocenti, a carico delle quali non vi sono prove certe".

Lei non crede nell'ipotesi del serial killer di Milano?

"Assolutamente no, sono totalmente in disaccordo con questa ipotesi, non sta in piedi. Sono convinto che non ci sia nessun serial killer. Gli assassini seriali seguono lo stesso modus operandi e colpiscono persone in modo 'casuale', mentre sembra che alcune delle vittime vennero uccise da persone che conoscevano, tanto da averle fatte entrare in casa. Se scaviamo nei sei delitti presi in considerazione per delineare l'ipotesi del serial killer scopriamo che ogni caso è molto diverso rispetto agli altri: vittime che non avevano nulla a che fare tra loro, uccise con modalità diverse, in tempi diversi. L'arma bianca allora era il modo più comune per molti delitti. Inoltre bisogna tener conto di un altro aspetto: Milano allora molto più popolosa di adesso, il fatto che in centro ci fossero stati 6-7 delitti di quel tipo non è così assurdo. Non c'è nessun serial killer. L'unico legame forse potrebbe esserci tra il caso la morte di Adele Margherita Dossena e quella di Elisa Casarotto".

Cioè?

"Adele Margherita Dossena era stata uccisa nella pensione che gestiva e che era frequentata da studenti e ferrovieri, nella zona della Stazione Centrale. Era un'attività che funzionava. Aveva fatto entrare il suo assassino in casa e gli aveva offerto da bere: sul tavolino c'erano due bicchieri e un cofanetto di caramelle Sperlari. In seguito la figlia Agostina Belli, provò a indagare sulla morte della madre e venne minacciata più volte, tanto che le uccisero anche il cane: sono i tipici comportamenti del racket. Un serial killer, invece, non si comporta così, non minaccia la famiglia della vittima, ma sparisce e non si fa più vivo. Tutto lascia supporre che la Dossena fu uccisa da qualcuno che era interessato alla sua attività o che la stesse taglieggiando. Ai tempi, infatti, il racket era già ben radicato a Milano. E la Casarotto potrebbe essere stata uccisa dalla stessa persona o da qualcuno dello stesso ambiente".

E gli altri casi di donne accoltellate?

"Alcune delle altre vittime si prostituivano e bisogna tenere presente che in Italia venivano uccise tantissime prostitute e in generale gli omicidi erano molto più frequenti di oggi. Inoltre Tiziana Moscadelli rifiutava i protettori: un comportamento molto pericoloso. Moscadelli, Drusin e Casarotto potrebbero essere state vittime del racket, ma non di un serial killer. Poi ci sono le altre due donne uccise nella propria casa: Salvina Rota e Valentina Masneri. La prima, commessa di 22 anni, venne seviziata con una lima e poi strangolata: il modus operandi è diverso rispetto agli altri omicidi e le modalità del delitto farebbero pensare a una donna. Tutto poi fa pensare che la Rota avesse fatto entrare in casa il suo assassino e che ci sia stato un litigio. A Valentina Masneri invece fu rubato l'orologio d'oro: per questo il suo potrebbe essere stato un omicidio a scopo di rapina. L'ipotesi del serial killer non sta in piedi, tanto meno per la Ferrero. Ma di lei mi lasci dire un'ultima cosa".

Dica.

"Era una ragazza straordinaria, esemplare. Ed è vergognoso che alla Cattolica non le abbiamo mai dedicato nessuna targa. Spero che quest'anno si decidano a collocare una targa.

Mi sembra doveroso".

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