Sgarbi quotidiani

La disgustosa vendetta su Dell'Utri

Una vendetta disgustosa che umilia lo Stato di diritto

La disgustosa vendetta su Dell'Utri

Il tumore c'è o non c'è. E chi ha un tumore va curato con rispetto e senza afflizioni. Ciò che lo Stato sta facendo contro Marcello Dell'Utri è, in piena flagranza, il delitto di tortura. Si aggiunga che chi è malato deve essere messo nelle condizioni psicologiche migliori per reagire. Ed è agghiacciante - per chi si dice cristiano come Vito Mancuso, che privilegia i simboli agli uomini - leggere che a una autorità dello Stato, il vicepresidente del Senato, non è concesso portare due libri a un carcerato. Non strumenti di offesa, ma di conforto spirituale.

Questa è barbarie, indegna di un Paese civile, gonfiato dalla retorica di un'antimafia colpevole di inaudite violenze contro la persona, per cui nessuno paga. Non è accettabile leggere, rispetto al dono dei libri: «Se hanno le copertine rigide non me li danno». È disgustoso. Le parole non servono più, e i nostri legislatori sono pusillanimi. Ci vuole rispetto per le persone e cura per le malattie. Il resto è disumana vendetta che umilia lo Stato che la pratica.

Il sindaco di Campobello di Mazzara, Ciro Caravà, è morto di cancro da qualche mese dopo essere stato illegittimamente trattenuto in carcere per due anni, nella cosiddetta «custodia cautelare», finendo poi per essere prosciolto da ogni accusa. Destituito da sindaco, diffamato, umiliato, è stato ucciso prima psicologicamente e poi fisicamente. Chi paga? I magistrati che lo hanno arrestato non meritano, davanti a Dio e agli uomini, di essere perdonati; ma, per un intollerabile privilegio, che è contro ogni giustizia, sono intoccabili e restano impuniti.

Non si può leggere in un Paese civile quello che ha detto Dell'Utri: «Mi dicono che dovrei andare tutti i giorni, accompagnato dalla scorta, su e giù da questa cella all'ospedale Pertini o a Tor Vergata per la radioterapia. Non hanno idea di cosa significhi una trafila del genere nelle mie condizioni. È come infliggere una lunga, lenta morte. E allora decido io: non mi faccio consegnare più il pasto dal carcere... e non prenderò più nessuna medicina. Basta».

Così lo Stato esegue la sua condanna a morte.

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