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Le divergenze parallele sempre più insostenibili

Alleati in ordine sparso

Le divergenze parallele sempre più insostenibili

La domanda, a questo punto, è una sola: quanto ancora potrà reggere il contrasto ormai inesorabile tra la propaganda demenziale del tutto scollegata dalla realtà e gli atti formali di un governo costretto suo malgrado a mandare avanti il Paese? È questo, ormai, il dilemma su cui si tiene in piedi l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Non tanto sul versante Lega, quanto dalle parti del M5s c'è infatti da chiedersi fino a che punto l'elettorato grillino sia ancora disposto a sopportare un Movimento che insiste a tenere insieme il bianco e il nero ormai su decine di fronti diversi. Con una supponenza, peraltro, che in alcuni casi sconfina pericolosamente nel ridicolo.

L'ultima, in ordine di tempo, tra le tante «divergenze parallele» del M5s è di queste ore. Ed è forse il punto più basso mai raggiunto da Di Maio & C. in quanto a coerenza. Nel giro di mezza giornata, infatti, uno dei due leader dell'autoproclamato «governo del cambiamento» è riuscito a schierarsi contemporaneamente a favore della rivolta dei gilet gialli in Francia e per il salvataggio di Carige in Italia. Riuscendo nell'impresa di far coesistere una duplice contraddizione: quella di un Movimento che è «di lotta» a Parigi, ma «di governo» a Roma e quella di un partito che si schiera con le proteste spontanee d'Oltralpe contro i poteri forti e le lobby economiche-finanziarie per poi salvare Banca Carige con le stesse modalità con cui il governo Gentiloni salvò Mps.

D'altra parte, è legittimo che il M5s si muova ormai con una certa spregiudicatezza, quando si gioca sulle contraddizioni. L'elettorato pentastellato, infatti, fino a oggi ne ha mandate giù di ogni: dalla retromarcia sulla Tav alla giravolta sul Tap, dal dietrofront sulle trivelle a quello sugli F35, per non parlare della questione immigrazione, dove il M5s riesce a fare coesistere la linea dei porti chiusi con le posizioni pro accoglienza dell'area che fa riferimento a Roberto Fico. Un capolavoro da 10 e lode in comunicazione. Come quello che merita Alessandro Di Battista, il teorico del «mai al governo con i partiti che hanno distrutto l'Italia, Lega compresa». Come è finita lo sappiamo e nessuno rinfaccia al Dibba la sua giravolta. La stessa che ha fatto sulle banche. Nel 2017 accusò il governo Gentiloni di «bancocrazia» perché aveva salvato Mps con un Consiglio dei ministri lampo. «Voi del capitalismo finanziario avete trovato i soldi in soli 18 minuti», arringava nell'aula della Camera. Ieri notte il Consiglio dei ministri con cui l'autoproclamato «governo del cambiamento» ha salvato Carige è riuscito a metterci anche meno: non più di dieci minuti, giurano alcuni dei presenti. Ma pazienza, è solo l'ennesima «divergenza parallela». Ostentata al punto che ieri Carlo Sibilia ne andava addirittura fiero. Con sprezzo del ridicolo, infatti, il sottosegretario all'Interno ha postato sui social due foto affiancate: una con Renzi e la Boschi e la scritta «loro salvavano le banche»; l'altra con Di Maio, Alfonso Bonafede e Danilo Toninelli e la scritta «noi tuteliamo i risparmiatori». Se non fosse troppo volgare, ci sarebbe da citare il vecchio sketch in cui Gigi Proietti veste i panni dell'avvocato che espone al malcapitato contadino le carte giudiziarie. La morale è che la «vittoria» va rivendicata, mentre le «disgrazie» non hanno né padre né madre. Insomma, la si può raccontare come si vuole e, soprattutto, come conviene.

Almeno fino a quando la pazienza dell'elettore grillino non finirà per esaurirsi.

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