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Donne in rivolta contro il velo

Il "No Hijab Day" è la risposta mondiale all'evento che esalta il simbolo islamico. "Basta co la propaganda"

Donne in rivolta contro il velo

Orgoglio o vergogna? Scelta o imposizione? Il velo islamico come simbolo identitario, di «rispetto», «forza» e «modestia»? Oppure emblema dell'oppressione, quintessenza della «sottomissione femminile» e della «privazione della libertà»? È per dare una risposta chiara a queste domande che le più note attiviste per i diritti umani hanno lanciato la campagna che culmina domani, 1° febbraio, nel «no hijab day», la giornata contro l'hijab e contro tutti i veli islamici sulle donne, che su twitter e Facebook ha anche preso la scia dell'hashtag #FreeFromHijab. Una reazione forte e mediatica al «world hijab day» che dal 2013, nello stesso giorno, si batte contro «la vittimizzazione» del velo indossato da milioni di donne «senza intimidazione».

«Pura propaganda», reagiscono da ogni angolo del mondo, dalla Francia al Canada, le donne che sulla loro pelle hanno sperimentato la costrizione e l'umiliazione di indossare l'hijab o il niqab. Le protagoniste della rivolta invitano tutte e tutti, compresi gli uomini sensibili alla causa, a postare sui social network la foto di un foulard appeso a un bastone. È la rievocazione della potentissima immagine della giovane attivista iraniana Vida Movahed, che sfidando il regime della Repubblica islamica di Teheran si era tolta il velo in strada ma era finita in carcere, poi liberata grazie alla pressione di un'imponente campagna internazionale. «È semplice come un buongiorno ma il gesto è di una grande efficacia», spiega Zineb El Rhazoui, che per le sue posizioni contro l'islam radicale vive sotto scorta, minacciata di morte. L'obiettivo è spendersi anche per «le nostre sorelle in Iran e Arabia saudita che si battono contro l'oppressione e il velo obbligatorio nei loro Paesi».

Le fa eco da settimane Yasmine Mohammed, la blogger di origini egiziane, cresciuta in una famiglia integralista, pur in Occidente, in Canada, dove il secondo marito della madre, musulmano e poligamo, la picchiava e la obbligò prima a indossare l'hijab e poi il niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi. «Quando lo indossi ti senti un fantasma, come se non fossi un essere umano, solo che tu cammini fra gli umani. Ma sei invisibile». Cita il filosofo scozzese David Hume: «Non c'è libertà di scelta a meno che non ci sia libertà di rifiuto». E in fondo è proprio su questo principio basilare quanto irrinunciabile che si gioca la campagna del #NoHijabDay: la possibilità di dire di no e l'imposizione diffusa del velo, nel nome dell'islam, nelle famiglie e nelle dittature teocratiche islamiche. Per questo - dicono le donne che hanno conosciuto la mano opprimente e violenta dell'integralismo religioso - «alla propaganda va contrapposta la nostra contropropaganda»: «La maggior parte delle donne non sono affatto libere nei loro hijab».

Non si direbbe a giudicare dalle immagini pro-velo che girano su twitter e Facebook. Giovani dalla Nigeria o dalla Tanzania, che esibiscono fiere il proprio velo e commentano: «Mi ha dato la sicurezza di stare di fronte alla folla - scrive Rama seif Omar - è la mia protezione, il mio orgoglio, il mio stile di vita». Ma il nodo - è il senso della campagna contro il «world hijab day» - è che nonostante i bei volti sorridenti promuavono il velo come scelta, priva di costrizioni, le testimonianze di chi ha provato a ribellarsi fotografano l'altra faccia della medaglia. Chi si oppone subisce spesso la reazione violenta delle famiglie, deve fronteggiare il rifiuto della società islamica in cui vive e in Paesi come Iran e Arabia Saudita può anche finire in carcere. «È una delle tante forme di oppressione - spiega Ensaf Haidar, moglie del blogger saudita Raid Badawi, condannato a mille frustate per avere difeso il liberalismo con un blog -. Come può essere una scelta quando ti viene detto che brucerai all'inferno se non lo indossi?».

«È come se le donne dicessero. Siamo qui e stiamo soffrendo. Per favore c'è qualcuno che se ne accorge?», spiega ancora Yasmine Mohammed, che è anche autrice di Confessions of an ex muslim, libro e blog diventati un manifesto contro il fondamentalismo religioso. «Scelta vuole dire che puoi decidere di mettere o togliere il velo come vuoi.

Ma nulla di quel che riguarda l'hijab è una scelta».

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