Politica

E il governo gioca a guardie e ladri

Dal sito Governo.it
Dal sito Governo.it

È passato un mese esatto da quando il cosiddetto «silenzio elettorale» avrebbe dovuto chiudere definitivamente i battenti a una campagna che ha fatto girare sull'ottovolante l'autoproclamato «governo del cambiamento» praticamente dal giorno del suo insediamento, ormai più di un anno fa. Invece, quattro settimane dopo le Europee del 26 maggio, la sensazione che pian piano va diventando certezza è che l'unica soluzione che Lega e M5s hanno trovato ai problemi del Paese è proprio la campagna elettorale. Ormai permanente.

Prima c'era la scusa delle tornate a ripetizione, a partire dal 22 aprile del 2018 con le Regionali del Molise. Il governo guidato da Giuseppe Conte ancora non era insediato e già si era tornati al voto anche in Friuli Venezia-Giulia (il 29 aprile). Poi, a fine giugno, le Amministrative che avevano coinvolto 21 capoluoghi e nel 2019 il filotto di Abruzzo, Sardegna, Basilicata e infine Piemonte. Una batteria di elezioni che, in qualche modo, legittimava il clima da conflitto continuo all'interno del governo. Oggi con la prossima tornata elettorale lontana sei mesi (a fine anno toccherà a Emilia-Romagna, Calabria e Umbria) scuse non ce ne sono più. E continuare a cannoneggiarsi reciprocamente invece di sedersi intorno a un tavolo per lavorare seriamente a come evitare la procedura d'infrazione di Bruxelles è una scelta difficilmente comprensibile. Ancora ieri, infatti, Lega e M5s si sono rimbalzati accuse e responsabilità. Il che inizia a ingenerare il dubbio che il vero problema sia l'assenza di soluzioni concrete. Per scongiurare l'aumento dell'Iva servono all'incirca 23 miliardi di euro. Ma, ad oggi, Salvini e Di Maio non entrano nel merito di questi numeri e preferiscono rilanciare ognuno la sua ricetta. La flat tax tanto cara alla Lega, anche se un giorno gli economisti del Carroccio la valutano 10 miliardi e l'indomani 15. Mentre il M5s rintuzza con il salario minimo, per il quale fa notare polemico il viceministro dell'Economia leghista Massimo Garavaglia chissà se ci sono le coperture. I soldi per finanziare la flat tax, invece, quelli sì che ci sono. Ma, butta lì Garavaglia, «non lo dico sennò Di Maio me li ruba».

Insomma, con il rischio più che concreto che il 9 luglio l'Ecofin apra una procedura per deficit eccessivo contro l'Italia, il governo gialloverde decide di giocare a «guardie e ladri» con le coperture. Una scelta che non solo certifica il clima di diffidenza che si respira nella maggioranza, ma che rischia anche di sfociare nel ridicolo. Come, peraltro, la vicenda dei minibot. Non è un caso che Giancarlo Giorgetti abbia deciso di prendere pubblicamente le distanze da quelle che sono posizioni tecnicamente non sostenibili. Certo, un peso lo avrà avuto la sua bassa considerazione dei «Keynes improvvisati» che sono sbarcati in Lega negli ultimi anni, ma il modo e i toni con cui ha preso le distanze dall'idea lanciata dal presidente della commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi nasconde anche un altro intento. E cioè lanciare un messaggio chiaro a chi nella Lega pensa si possa affrontare l'Europa a colpi di dichiarazioni roboanti. «Apriamo solo scontri inutili che non portano a niente», confidava ieri mentre attendeva la decisione del Cio sulle Olimpiadi. Un'uscita, quella sui minibot, non concordata con Salvini. Perché, dice chi conosce il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il messaggio era rivolto anche a lui. «Se volevamo tornare al voto, dovevamo farlo prima. Ormai non resta che affrontare la questione della procedura d'infrazione in modo serio e responsabile».

Provando, insomma, a prendersi una pausa da questo anno di campagna elettorale permanente.

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