Cronache

Facebook, anche un like a video Isis è indizio di apologia di terrorismo

Per la Cassazione un video inneggiante il jihad può giustificare la custodia cautelare in carcere per apologia del terrorismo

Facebook, anche un like a video Isis è indizio di apologia di terrorismo

Quanto pesa un like su Facebook? Se viene posto sotto un video inneggiante alla Guerra Santa, molto. Per un cittadino kosovaro è valsa l'espulsione dall'Italia. È stata la V sezione della Corte di Cassazione a decidere che mettere un "mi piace" ad un filmato a favore del Jihad possa essere un "indizio" di colpevolezza per apologia di terrorismo e dunque motivare la condanna alla reclusione.

Il kosovaro era residente nel bresciano e nel novembre del 2016 era stato sottoposto a misura cautelare per via di un video condiviso online che secondo l'accusa faceva riferimento allo Stato Islamico e alla sua battaglia contro l'Occidente. Poi però il tribunale del Riesame aveva annullato tutto perché "pur riconoscendo che il termine 'Jihad' evoca la guerra santa" non aveva rinvenuto la volontà dell'imputato nel riferirsi "proprio all'Isis e non ad altri combattenti". Un gioco di parole sul termine jihad. Per il Riesame, come riporta Repubblica, nei filmati non vi erano "sufficienti elementi per ricondurre univocamente i richiami alla guerra santa in esse contenuti, all'Isis, sul rilievo che lo Stato islamico era solo una delle parti belligeranti del conflitto sirio-iracheno".

La battaglia legale si è giocata sul filo di lana. È evidente. Ma alla fine, dopo una prima pronuncia della Suprema Corte e un ulteriore annullamento del Riesame, a spuntarla sembra essere stata la procura di Brescia. La Cassazione, infatti, crede che sia "pacifico" che l'imputato abbia "abbia inneggiato apertamente allo Stato islamico ed alle sue gesta ed ai suoi simboli", visto soprattutto che - secondo le indagini - aveva contatti con altre persone attenzionate per terrorismo islamico. Il Riesame aveva giustificato la decisione di liberare il kosovaro sostenendo che il video incriminato fosse rimasto sulla pagina Facebook solo 11 giorni e che lasciava la sola possibilità di mettere "mi piace" (e non dunque anche l'opzione "condividi").

Ma questi, per la Suprema Corte, non sono elementi "idonei a ridurre la portata offensiva della condotta", poiché anche con il solo like Facebook mantiene "immodificata funzione propalatrice".

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