Cronache

Filippine, è strage Cristiani nel mirino

A vete presenti quelli che l'islamofobia? Sono gli oracoli del politicamente corretto. I profeti di un culto dell'indifferenza che piega (...)

(...) l'Occidente impedendogli di vedere i nemici e distinguere fra vittime e assassini. Quando il terrore islamista fra strage di cristiani, come a Jolo nelle Filippine, i profeti dell'indifferenza ribaltano colpe e accuse. Nella loro narrazione l'identità degli assassini si stempera e si confonde. I lupi solitari, terrore delle folle europee, e le belve di Abu Sayyaf, il gruppo affiliato all'Isis autore dell'eccidio di Mindanao, perdono l'identità islamica, per diventare protagonisti di una violenza astratta e indefinita sulla cui origine si preferisce non indagare. Quando non si arriva a giustificarla. Il sistematico disconoscimento dell'identità dei carnefici offusca anche quello delle vittime. Dopo ogni massacro come quello di Jolo un «refrain» obbligato ci ricorda come il terrorismo islamista uccida soprattutto i musulmani. La nebbia di quella relativa verità c'impedisce di realizzare che la comunità più perseguitata resta quella dei cristiani, ovvero quella dei fratelli con cui condividiamo la fede fondamento della nostra civiltà. A ricordarcelo ci pensa la «Chiesa che soffre», l'istituzione pontificia il cui ultimo rapporto rammentava, solo due mesi fa, come trecento milioni di cristiani, uno su sette dei nostri fratelli nella fede, viva in Paesi dove infuria la persecuzione. I 736 attacchi contro di loro, registrati nel 2017, sono stati più del doppio rispetto all'anno precedente e hanno causato la distruzione di oltre 1.500 chiese. L'organizzazione protestante Porte aperte stima, invece, in oltre 4.300 i cristiani uccisi nel mondo «a causa della fede», mentre quelli detenuti per motivi religiosi superano quota tremila. Tanta furia persecutoria non arriva solo per mano dell'Isis o di altri gruppi jihadisti come successo a Jolo, e negli anni passati, in Siria e Irak. La vessazione dei cristiani trova un valido alleato anche in stati e istituzioni pronti a imporre conversioni e matrimoni forzati, arresti arbitrari, accuse di blasfemia, e limitazioni del culto pubblico. In Pakistan, come dimostra il dramma non ancora risolto di Asia Bibi, la legge sulla blasfemia, la «legge nera», è una spada di Damocle sospesa sulla testa di ogni cristiano deciso a non rinunciare alla fede. In India il nazionalismo indù è all'origine degli assalti ai villaggi cristiani. Per non parlare del comunismo di una Cina, dove i nuovi «regolamenti sugli affari religiosi», impongono ulteriori restrizioni ai gruppi religiosi e di una Corea del Nord, dove migliaia di cristiani detenuti in campi di prigionia sono sottoposti a trattamenti più duri degli altri prigionieri a causa della propria fede. Ma questo attacco costante a chi condivide i nostri ideali e la nostra fede non ci scuote, non ci colpisce. E così, come ammonisce Alfredo Mantovano, presidente di «Chiesa che soffre», «l'indifferenza finisce con uccidere più del terrorismo».

Gian Micalessin

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