Politica

Flop sovranista: così la Lega guarda al centro

Flop sovranista: così la Lega guarda al centro

Manovre al Centro. La prova che il suo Dna è quello del centrista moderno l'aveva fornita all'indomani della nascita del governo giallorosso, ponendo un veto sugli aumenti selettivi dell'Iva (quelli, ad esempio, sul caffè al bar), e ora Matteo Renzi ha dimostrato la sua identità genetica con la raccolta di firme per le dimissioni del sindaco di Roma Virginia Raggi, un'iniziativa uguale a quella della Lega («i comitati di azione civile arriveranno a diecimila firme entro il mese» assicura l'ex segretario del Pd), e con una prossima sortita che infrangerà uno dei tabù della sinistra giustizialista: «Più prima che dopo promette porrò la questione della separazione delle carriere tra giudici e Pm». Il resto per tagliarsi su misura l'abito del centrista liberale, promette, lo faranno le adesioni che arriveranno da Forza Italia.

Giuseppe Conte, invece, per assicurarsi l'egemonia nell'area centrale si gioca la vecchia carta democristiana. Dopo aver commemorato il santo della dc Giorgio La Pira, celebrato Aldo Moro all'Università di Bari, aver colloquiato nel giorno della crisi di governo con Maria Romana De Gasperi, ieri il premier è arrivato fino ad Avellino per tessere le lodi di un altro dc illustre, Fiorentino Sullo. Mille citazioni della storia scudocrociata, da Moro a don Luigi Sturzo, a Mino Martinazzoli, fino ad una frase criptica di Pietro Scoppola che solo gli appassionati del genere possono gustare fino in fondo: «Non c'è bisogno di una nuova Democrazia Cristiana, ma di una democrazia di cristiani». Una chicca che ha mandato in visibilio il forzista Gianfranco Rotondi: «Conte rivendica l'eredità della Dc, addirittura più di Berlusconi o di Renzi. Penso che lui non voglia far una cosa sua ma trasformare i 5stelle in qualcosa che somigli alla Dc. Tant'è che io gli ho proposto di riproporre una politica di solidarietà nazionale per affrontare la crisi, cioè di allargare il governo a Forza Italia, e lui democristianamente ha annuito. Ha detto: Sempre disponibile al confronto».

Chi, invece, ha rinviato il suo decollo in politica colpa delle elezioni che non ci sono e dell'ipotesi della nuova legge sul conflitto di interessi paventata dai grillini è un'altra leggenda dei possibili leader dell'area moderata, l'editore Urbano Cairo. «Con mille dipendenti spiega non è una decisione che potrei prendere a cuor leggero. Probabilmente dovrei vendere tutto, ma non voglio. Il mondo dell'editoria ha il suo fascino, muove passioni. Basta pensare al ritorno di Carlo De Benedetti. Per cui non entro in politica e non è un atteggiamento tattico, legato alla tempistica. Poi certo dico anche mai dire mai. Ma solo perché è la mia filosofia di vita».

E ancora c'è Carlo Calenda, il marziano che punta a portare il voto centrista verso sinistra. E, infine, Silvio Berlusconi, l'uomo che ha investito tutto sui moderati. L'ultima intenzione del Cav è l'«Altra Italia», un movimento da affiancare alla vecchia Forza Italia, formato da imprenditori e professionisti. Collocato nel centrodestra perché spiega il Cav sfogliando sondaggi il segmento elettorale dell'area centrale «non va oltre l'8%». Sarà di più, o, magari, anche meno, ma Berlusconi dovrebbe fare bene i suoi conti: parafrasando la celeberrima frase di Enrico Cuccia sul valore delle azioni, infatti, in certi casi «i voti si pesano, non si contano». E se quell'8% è essenziale per tenere in piedi un governo o formare una maggioranza in Parlamento, valgono più del doppio. Tant'è che l'8%, collocato in quell'area della geografia politica è l'oggetto del desiderio di molti: «Se Italia Viva raggiungesse l'8% - sospira Renzi allora il gioco diventerebbe serio».

E siamo arrivati al punto. C'è chi se ne è accorto e chi no, ma è tornata la leggenda del Centro ad ispirare la politica italiana. Un Centro come l'Araba Fenice che, in versioni diverse, torna nei ragionamenti dei politici di ogni estrazione. Giggino Di Maio si candida a rappresentarlo quando promette al popolo dei 5stelle a Napoli: «Saremo l'ago della bilancia dei prossimi dieci anni». Goffredo Bettini, la testa d'uovo di Nicola Zingaretti, lo evoca quando arriva a teorizzare «un campo largo che metta insieme dalla sinistra a pezzi di Forza Italia». E, infine, infastidisce Romano Prodi, nostalgico del bipolarismo e nemico di ogni protagonismo centrista. «Meglio così è il ragionamento con cui il Professore ha liquidato la scissione di Renzi con un ego del genere è impossibile convivere».

Ma Prodi sbaglia: l'ego è solo, appunto, il «protagonismo centrista», la capacità di manovra che offre l'occupare uno spazio centrale e determinante nello scenario politico. Lo stesso Matteo Salvini ha scoperto, a modo suo, che deve coprirsi su quel lato: tant'è che ha mandato in soffitta la polemica sull'uscita dall'euro e le teorie del suo economista preferito, Claudio Borghi («l'euro è irreversibile», «l'Italia fuori dall'Europa non conta nulla» sono i nuovi capisaldi del pensiero del leader leghista), anche se immagina di svolgere questo ruolo da solo, senza le mediazioni di altri: né quelle del Cav, né quelle del Ppe. Ad esempio, l'adesione di Silvio Berlusconi alla manifestazione del 19 ottobre contro il governo la commenta con il minimo sindacale: «Più gente c'è e meglio è». Come pure il leader della Lega non offre grandi chance al centrodestra come formula politica: «Non si possono proporre le ricette del '94 agli italiani del 2020». La dialettica politica verso quel segmento elettorale il leader della Lega la interpreta, secondo il suo credo, in un rapporto diretto. Solo che non si può guardare verso quell'area elettorale è qui il limite della linea di Salvini e andare a braccetto in Europa con la destra di Afd. Un limite che riscontrano anche esponenti della Lega come Giorgetti e Molinari che ipotizzano «cambi di alleanze a Strasburgo» e guardano verso il Ppe.

La verità è che l'ipotetica «conversione» di Salvini è finalizzata, soprattutto, a mantenere Forza Italia sul versante del maggioritario quando si aprirà il confronto sulla legge elettorale: se il Parlamento approvasse una legge proporzionale, la più adatta a valorizzare le istanze centriste in questo momento, la Lega di Salvini rischierebbe l'emarginazione, un destino alla Le Pen. «Da noi osserva il responsabile organizzativo degli azzurri Gregorio Fontana Matteo S. vuole solo i voti per la difesa del maggioritario». Così il partito che per venti anni ha rappresentato l'area moderata oggi ha di fronte il dilemma se diventare vassallo della Lega, o partecipare con più decisione alla corsa verso il centro. «Berlusconi considera il centrodestra un valore osserva laconico il consigliere del Cav, Sestino Giacomoni perché lo ha fondato lui, ha con questa formula un rapporto romantico. Da qui l'opzione verso una legge elettorale maggioritaria.

Anche se, a conti fatti, l'unico sistema che può garantire un futuro a Forza Italia è il proporzionale».

Commenti