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Gialloverdi in crisi. Popolarità a picco

Il futuro spaventa: dopo 6 mesi il governo Conte è peggio di Renzi e Berlusconi

Gialloverdi in crisi. Popolarità a picco

Negli anni d'oro della Prima Repubblica, Arnaldo Forlani si schermiva con i cronisti con una celeberrima frase: «Potrei parlare per ore senza dir nulla». Ebbene, Giuseppe Conte, che è stato accostato al leader dc, può dirsi contento per essere andato ben oltre. Sulla sua bocca non stonerebbe una parafrasi di quel concetto: «Potrei pensare per ore senza dirne una giusta». Sicuramente, infatti, non è stata una bella pensata paragonare i pensionati che prendono 1.500 euro, arrabbiati perché il governo gli ha bloccato l'indicizzazione, all'Avaro di Molière. Né è stata un'idea geniale per il premier di un governo che ne ha promesse tante e mantenute poche, cantare ai microfoni di Radio Rock la canzone «l'anno che verrà» di Lucio Dalla. Conte ha cantato solo la prima strofa, dimenticando le successive che sembrano una versione del famoso «contratto di governo» in note: «...ma la televisione recita il testo - ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione. E tutti quanti stiamo già aspettando. Sarà tre volte Natale, festa tutto il giorno. Ogni Cristo scenderà dalla croce... Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno. Anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno... E senza grandi disturbi qualcuno sparirà. Saranno forse i troppo furbi. E i cretini di ogni età».

Inconsapevolmente Conte ha offerto l'immagine delle promesse fatte dal governo gialloverde e della delusione che potrebbe investirlo tra qualche mese, quando saranno disattese. Già, perché sui dubbi, le critiche, le riserve sulla legge di bilancio, il governo non ha dato risposte. È rimasto afono. Da quando è stata approvata c'è stato solo un «training autogeno», specie dei due vicepremier, per darsi coraggio. Atti di fede, la voglia di gettarsi a capofitto nella campagna elettorale per le europee, come se finora avessero fatto altro, e altri argomenti diversivi per parlar d'altro.

Salvini si è immortalato con la Nutella, mentre Di Maio ha parlato del suo Capodanno con l'amico «Dibba». Risposte nessuna. Anzi, è andata peggio. Mentre il vicepremier leghista spiegava agli italiani che erano diminuite le tasse, l'ufficio parlamentare per il bilancio annunciava che aumenteranno dal 42 al 42,5%, che quest'anno scenderemo come tasso di sviluppo dal previsto 1% allo 0,8%, che nel 2019 probabilmente saremo in recessione. Tutte previsioni che il governo ha rimosso. Ma per andare avanti non basta la fede. «Anche i miei ha ammesso il capogruppo dei deputati 5stelle, Francesco D'Uva mi hanno chiesto come si possono fare le stesse cose quando siamo passati da un rapporto deficitPil del 2,4% al 2,04%!». Domanda rimasta inevasa.

L'unica risposta il premier, che ormai ha abbracciato la tradizione democristiana, l'ha data agli elettori di quello che probabilmente sarà il suo futuro collegio elettorale, il luogo natio Volturara Appula: saranno finanziati 78 progetti tra infrastrutture e iniziative per lo sviluppo. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, non potrà fare neppure quello. Aveva puntato tutto sugli «investimenti». E, invece, alla fine, le risorse indirizzate a questo capitolo sono state ridotte. E lui, l'altra sera, nella riunione della Commissione Bilancio, ha perso la tramontana. Tra commissari di maggioranza e opposizione che si fronteggiavano con improperi (il più civile è stato «deficiente»), il ministro dell'Economia ha cominciato a gridare indemoniato: «Baaastaaa! Mi avete insultato!». Sembrava una scena di Fantozzi contro tutti, con Tria nei panni del ragionier Filini. «Gridava a noi per parlare ai suoi confida Guido Crosetto -: gli hanno tagliato metà delle risorse destinate agli investimenti. Solo alle Ferrovie 2,3 miliardi. Certo che è incazzato! Questi fanno training autogeno ma presto si scontreranno con la realtà».

Inutile dire che per i «gialloverdi» Crosetto è uno dei tanti «gufi». Solo che ridurre le critiche a «sfiga» spesso non aiuta. Il primo a dirlo è il personaggio che possiede il copyright dell'espressione «gufi». La settimana scorsa, nei saloni di Palazzo Madama, Matteo Renzi si è lasciato andare a questi ragionamenti sul futuro del governo: «Quando la gente tornerà dalle feste, la maggioranza di governo andrà in difficoltà. Ormai le fasi politiche hanno tempi brevissimi. Ne so qualcosa io. Io, però, di riffa o di raffa sono durato tre anni, questi si bruceranno prima. Questa legge di bilancio balorda innescherà la crisi. Cosa dirà d'ora in avanti Salvini? Quella sugli immigrati l'abbiamo già sentita. Le pistole con il peperoncino provocano guai. Se poi cede sulla Tav, i guai per lui diventano grossi. Cosa può fare per salvarsi? Accelerare, puntare a Palazzo Chigi facendo una nuova scommessa: Ora ci penso io. Le elezioni? Fra tre mesi, guardando i sondaggi, non avrà più voglia di andarci».

Un'analisi che torna anche sulla bocca dell'azzurro Roberto Occhiuto. «Questa manovra osserva è uno spartiacque. Si entra in una nuova fase. Quando se ne accorgeranno a febbraio, già gli sarà arrivata addosso la valanga». Su un dato, però, Occhiuto sbaglia, c'è tra i leghisti chi se ne è accorto e ha cominciato a fare gli scongiuri. Giorgetti e Garavaglia, solo per fare due nomi. E anche tra i giovani, tra chi fiuta il territorio, c'è chi quando affronta l'argomento cambia colore in viso. «Sono un po' perplesso» ammette il leader dei giovani leghisti Andrea Crippa: «Voti ancora non ne perdiamo, ma il consenso va consolidato. Altrimenti perdi tutto in un battibaleno». «Per il momento stiamo lì gli fa eco il viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi poi vediamo. Bisogna stare attenti: se fossi Toninelli, ad esempio, non mi prenderei la responsabilità politica di dire no alla Tav. Aspetterei il no di Macron, che non può dire sì, altrimenti i camionisti d'Oltralpe lo vanno a prendere all'Eliseo!».

Già, «al momento». Sono i bollettini prima della tempesta. E se ti leggi il sondaggio di Pagnoncelli che dà al governo un indice di gradimento del 60%, identico a quello del giorno del suo esordio, magari speri ancora che non arrivi. Invece, per altri come la maga Alessandra Ghisleri (l'unica che nelle ultime elezioni previde il sorpasso della Lega su Forza Italia) già siamo ai tuoni. Per lei, infatti, il governo dopo sei mesi ha un indice di gradimento del 43%: cioè, sta peggio di quanto fossero, dopo un semestre a Palazzo Chigi, Berlusconi e Renzi. Se a questo ci aggiungi che solo il 38% degli italiani crede che il governo durerà 5 anni, la fotografia si fa più nitida. Certo dalla loro Salvini e Di Maio hanno un'opposizione in difficoltà. Ma in politica come nella fisica, gli spazi lasciati vuoti si riempiono.

«Nel mese di gennaio confida la maga dovrò sondare la consistenza di 5 progetti di partiti che puntano ad occupare il centro».

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