Cronache

Ilva, truffa da 100mila euro: confermata condanna a Riva

Il processo scaturisce da uno dei filoni d'indagine dei pm milanesi sull'Ilva di Taranto. Sei anni e mezzo al figlio del patron deceduto

Ilva, truffa da 100mila euro: confermata condanna a Riva

Sei anni e mezzo di prigione. È stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano la condanna già inflitta Fabio Riva, figlio dell’ex patron dell’Ilva Emilio, nel processo che lo vede imputato per la presunta truffa ai danni dello Stato da circa 100 milioni di euro. La Corte ha confermato anche le condanne inflitte in primo grado ad altri due imputati, la confisca di 91 milioni di euro e la provvisionale da 15 milioni di euro a favore del ministero dello Sviluppo economico.

Fabio Riva, latitante per quasi 3 anni prima di costituirsi poco più di 10 giorni fa, era presente in aula. L'ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, ha voluto ascoltare tutti gli interventi delle difese dal banco degli imputati. Accanto a lui le guardie penitenziarie.

I giudici (presidente Luigi Martino), hanno accolto appieno la richiesta avanzata dal sostituto pg Piero De Petris, e hanno confermato le condanne inflitte il 21 luglio dello scorso anno dal Tribunale: 6 anni e mezzo per Fabio Riva, ex vicepresidente di Riva Fire, 5 anni per l’ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade, Alfredo Lomonaco, e 3 anni per l’ex consigliere delegato di Ilva Sa, Agostino Alberti. Confermata anche la multa di 1,5 milioni di euro a Riva Fire spa, nel processo in base alla legge 231 del 2001, oltre alla confisca di beni mobili e immobili a tutti gli imputati per un valore complessivo di 90,8 milioni di euro. Riconosciuta la provvisionale di 15 milioni da versare al ministero dello Sviluppo economico, rappresentato dal legale Gabriella Vanadia.

La vicenda è al centro di uno dei filoni di indagine aperti dai pm milanesi Stefano Civardi e Mauro Clerici sul gruppo Ilva. L'accusa ipotizza la creazione di una società ad hoc in Svizzera, l’Ilva Sa, che avrebbe avuto lo scopo di aggirare la normativa (la "legge Ossola") sull'erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero, per un totale di quasi 100 milioni di euro. Secondo l'accusa, Ilva Sa "è nata su input di Fabio Riva" che avrebbe dato mandato ad Alberti di "costituire una società per sfruttare la legge Ossola". Attraverso questa operazione, quindi, sarebbe stato "indotto in errore lo Stato", per ottenere "contributi che in realtà non si potevano avere".

Ha già anunciato il ricorso per Cassazione l’avvocato Gian Paolo del Sasso, difensore di Fabio Riva. Sulla stessa linea il legale di Riva Fire, l’avvocato Carlo Enrico Paliero, che ha chiarito che "c'è ancora un grado di giudizio" e ha aggiunto che "la holding non doveva essere nemmeno portata a giudizio per fatti contestati ad un’altra società (Ilva Sa, ndr.)".

Fabio Riva è in carcere in seguito all’ordinanza dei magistrati di Taranto che lo accusano di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento delle sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, corruzione, falso e abuso d’ufficio.

Sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai pm deciderà nelle prossime settimane il gup Vilma Gilli.

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