Cronache

Jennifer Sterlecchini, vittima dimenticata, uccisa dall'ex fidanzato

Fabiola Bacci di Pescara, madre di Jennifer Sterlecchini: "Mia figlia è stata uccisa nel dicembre 2016, massacrata di botte e con 17 coltellate. L’assassino è stato condannato a 30 anni con rito abbreviato ma sappiamo bene che non li farà mai tutti"

Jennifer Sterlecchini, vittima dimenticata, uccisa dall'ex fidanzato

“Mia figlia è stata uccisa nel dicembre 2016, massacrata di botte e con 17 coltellate. L’assassino è stato condannato a 30 anni con rito abbreviato ma sappiamo bene che non li farà mai tutti”. A parlare è Fabiola Bacci di Pescara, madre di Jennifer Sterlecchini, che, a distanza di due anni dalla morte di sua figlia, non smette di urlare il suo grido di dolore.

L'omicidio di Jennifer Sterlecchini

“A noi non ci tutela nessuno. Gli assassini hanno psicologi e suore che vanno a confortarli, ma io sulla tomba di mia figlia non ho mai visto nessuno e l’ergastolo lo viviamo noi”, ha detto di recente nel corso di una manifestazione, la mamma di Jennifer, una ragazza di 26 anni uccisa dal suo ex fidanzato, Davide Troilo che, all’epoca della tragedia aveva 32 anni. Non è uno dei soliti femminicidi che riempiono le pagine dei giornali ma un omicidio che stava per essere consumato davanti agli occhi di Fabiola Bacci. Quel famoso 2 dicembre Jennifer era ritornata nell’appartamento dove aveva convissuto fino a quattro giorni prima con Troilo per prendere gli ultimi effetti personali. "Avevamo fatto i pacchi li stavamo portando via. Io ero andata a prendere la macchina. Al ritorno ho trovato la porta della casa chiusa e ho sentito, dall'interno, le urla di mia figlia. Chiedeva aiuto, mi chiamava", ha raccontato la madre all’Huffington Post. "Mamma, aiutami. Mi sta ammazzando! Mi sta ammazzando!", avrebbe urlato la giovane Jennifer, vittima di una lite innescata dall’ex fidanzato per futili motivi.

Troilo, pochi istanti dopo l’arresto, aveva spiegato agli investigatori che al centro della discussione c’era stata una disputa su chi dei due dovesse tenersi un tablet che avevano in comproprietà. In realtà, la vittima, appena una settimana prima di essere uccisa, aveva condiviso su Facebook alcune frasi di condanna contro il femminicidio. "La violenza contro le donne è il virus del non-uomo – aveva postato la ragazza – Questi sono incapaci di rapportarsi con una donna, la violenza è figlia degli incapaci, gli incapaci di accettare una relazione e soprattutto le problematiche della coppia. Questi sono ignoranti, perché l'ignoranza è alla base di mancanza di vocabolario, di parole, di argomentazioni, l'uomo senza vocabolario è costretto all'azione, alla minaccia, allo schiaffo, al calcio, alla violenza". "E' la mancanza di virilità – scriveva ancora condividendo citazioni – che rende l'uomo un bambino disperato, impotente e violento, ma è anche grazie all'aggressione e alla violenza che diventa momentaneamente grande e soddisfatto di se stesso, con il suo momento irriducibile di gloria".

L'esito del processo: l'assassino evita l'ergastolo

Nel luglio 2017, alla prima udienza del processo, nel quale si erano costituiti come parti civili la madre e il fratello di Jennifer, il Comune di Pescara, la Regione Abruzzo e l’associazione Ananke, attiva nella lotta alla violenza sulle donne, Troilo ha ottenuto il rito abbreviato. Una decisione che, per un accusato di omicidio volontario pluriaggravato da futili motivi e premeditazione, significa evitare l’ergastolo e avere la possibilità di ottenere uno sconto di pena. Il 24 gennaio 2018, però, è arrivata la sentenza di primo grado che ha condannato Troilo a 30 anni di carcere. La perizia psichiatrica, infatti, ha escluso che, al momento del delitto, Troilo fosse affetto “da patologie psichiatriche” e, pertanto, fosse in grado “di intendere e volere”. Il suo avvocato difensore, Giancarlo De Marco, ha annunciato subito il ricorso in appello e ha criticato la sentenza che ha considerato eccessiva: “Il delitto c'è stato ed è stato terribile, però – ha obiettato - la legge dovrebbe essere uguale per tutti in tutta Italia. Una condanna a 30 anni è di gran lunga superiore alle condanne che hanno preso persone che hanno commesso reati analoghi, come Parolisi o Stasi, con quest'ultimo che ha preso 16 anni senza neanche il rito abbreviato”.

Proprio queste parole lasciano perplessi i familiari di Jennifer che temono che, per come funziona la giustizia italiana, il suo aguzzino possa vedersi ridotta la pena nei successivi gradi di giudizio.

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