Cronache

Il killer riformista in cella ottiene il maestro zen

Catello Romano, dalla camorra al buddismo. Nel 2008 si candidò alle primarie, nel 2009 uccise un compagno di partito

Che fosse un killer sui generis , gli inquirenti l’avevano intuito subito, al momento dell’arresto. Incensurato, un diploma di liceo classico in tasca, riformista di si­nistra e attivista del Pd, tanto da aver partecipato nel 2008 alle pri­marie democrat del boom, quel­le della nascita del partito e delle ossature cittadine del Pd voluto da Veltroni. Si, vero, a Castellam­mare di Stabia (Napoli), quelle primarie erano un po’ sui generis anche loro, come si vedrà poi: del Pd ma vicino alla camorra la vitti­ma, il consigliere comunale Gino Tommasino, assassinato a feb­braio del 2009, tre mesi dopo quel voto innovativo; e piddino vicino alla camorra anche il killer di Tommasino, Catello Romano, giovane perbene con famiglia le­gata ai clan. Un assassino riformi­sta, Catello, che adesso ha avuto un’ulteriore evoluzione: è il pri­mo detenuto che, alla faccia del­l’emergenza carceri e delle ri­strettezze sulle cose che si posso­no introdurre dietro le sbarre (lo sanno bene i carcerati e i loro fa­miliari), potrà ricevere in cella, a Novara, il suo maestro zen, non­chè avere il suo bravo cibo vega­no differenziato, altro che la sbobba delle patrie galere. Poten­za del buddismo, la religione cui Catello, che ha 23 anni, si è con­vertito nel corso della sua meta­morfosi da sicario a pentito (ini­zialmente collaborava con la giu­stizia, ma poi ha fatto dietro­front, fuggendo dalla località pro­tetta in cui lo Stato lo proteggeva, perché la sua famiglia non gradi­va che fosse uno spione dei segre­ti dei clan) a carcerato. Potenza del buddismo e della Cassazio­ne, che di fronte alle richieste un po’ bizzarre di quel detenuto ha bacchettato il giudice di sorve­glianza ( che genericamente ave­va comunicato di aver dato indi­cazioni per accontentarlo, nei li­miti del possibile) e ha detto che invece sì, il giovane Catello va as­solutamente assecondato, mae­stro zen personale e solo cibo ve­gano. Che non si dica che perché è in carcere gli sia stato negato il diritto di praticare il culto che pre­ferisce.

Il principio, in linea teorica, è sacrosanto. E la sentenza della Prima sezione penale della Cas­sazione - la numero 41474 dello scorso 7 ottobre - spezza sicura­mente una lancia in favore della garanzia dei diritti dei detenuti, stabilendo che simili desiderata particolari non possono essere li­quidati con leggerezza ma richie­dono invece «valida risposta», con tanto di attivazione della pro­cedura finalizzata a esaudirli. Di conseguenza nel caso specifico, sì, via libera al maestro zen richie­sto per compiere correttamente il suo percorso di meditazione; e disco verde pure al cibo differen­ziato: solo verdure, frutta cereali; e niente carne, proibiti tutti i deri­vati di origine animale. Ma qualche nodo, irrisolto, re­sta. Per un Catello Romano che può ricevere il maestro zen e cibo ad hoc , quanti detenuti cattolici ci sono che non possono parlare con il proprio confessore (in teo­ria può essere latore di messaggi all’esterno) e devono acconten­tarsi del cappellano del carcere? E quante volte, per ragioni legate alla sicurezza, a qualche detenu­to è stata negata persino la parte­cipazione alla messa? O la visita a un familiare moribondo? Ma per Catello il problema non si pone.

Anche se resta il dato, cu­rioso, della sua metamorfosi: da killer che non ha esitato a sparare a un uomo, collega di partito, ri­schiando di colpire anche il figlio­letto che era in macchina con lui; a buddista dedito alla meditazio­ne che, per fede, oggi non tocche­rebbe nemmeno una mosca.

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