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Non parlano in aula, ma solo sui social: la strana corsa alla diretta dei leader

Non parlano in aula, ma solo sui social: la strana corsa alla diretta dei leader

E chi si ricorda di quando la sinistra dura e pura si scandalizzava per i politici che contribuivano a trasformare Porta a porta di Bruno Vespa nella «terza Camera del Parlamento»? Faceva storcere il naso ai sacerdoti della «centralità» delle Camere l'andazzo dei governanti di sottrarsi ai passaggi ufficiali di Palazzo per privilegiare uscite mediatiche negli studi televisivi, magari con divagazioni cabarettistiche (rasature in diretta, palleggi in studio, prove ai fornelli).

Nell'anno secondo dell'era gialloverde, le distrazioni televisive dei leader sono quasi diventate un fenomeno da preistoria. Così come i riti istituzionali del Parlamento sono stati derubricati a un noioso intermezzo tra un selfie in mezzo alla folla o una diretta Facebook. La crisi strisciante del governo Conte è un esempio dorato della trasformazione comunicativa del Palazzo. La giornata drammatica di mercoledì, culminata con la relazione del premier Conte in Senato sui presunti finanziamenti alla Lega, è andata paradossalmente ai tempi supplementari non appena il presidente del Consiglio si è congedato da Palazzo Madama.

Gli staff dei leader di partito, uno all'insaputa dell'altro, hanno programmato tre dirette social di Salvini, Di Maio e Renzi per le 19. Quasi un discorso alla nazione di tre presidenti che si danno sulla voce l'un l'altro. Cose mai viste. Alla fine l'affollamento è stato regolato distanziando gli interventi di qualche minuto, ma tutto nel giro di un' oretta. Con effetti comunque discutibili.

Salvini, ministro dell'Interno e senatore della Repubblica, avrebbe potuto parlare a Palazzo Madama, tanto più che la questione russa di fatto coinvolgeva lui. Ha però preferito fissare riunioni estemporanee e girare alla larga dall'Aula. Si è rifatto vivo subito dopo, camicia bianca e cravatta azzurra un po' allentata, reggendosi da solo l'Iphone nella location di un bel giardino per esternare quanto avrebbe potuto dire nella sede deputata.

Anche Matteo Renzi, senatore alla prima legislatura, avrebbe potuto tuonare sul caso dei rubli di Mosca, tema su cui il Pd è particolarmente caldo. Solo che si era dimenticato di appartenere all'unico partito al mondo che non lascia intervenire in aula un suo ex primo ministro. E allora si è dovuto accontentare di un comizietto via Facebook. Location istituzionale (il suo splendido ufficio), camicia bianca, cravatta sul bordeaux, taccuino con matita, laptop aperto, iPhone sulla scrivania e un'anima pia che almeno l'ha ripreso lasciandolo seduto.

Anche il vicepremier Luigi Di Maio, onorevole deputato, avrebbe potuto farsi sentire alla Camera dove si stava votando la fiducia al decreto Sicurezza bis. Ma quelli non sono più posti per i giovani rampanti che si sentono nativi digitali. Meglio parlare di fronte a una videocamera nel proprio ufficio, travestendosi da uomo di Stato con una giacca blu e un paio di bandiere sullo sfondo.

Tante chiacchiere, con strumenti moderni e al passo dei tempi, ma zero contenuti, confluiti nel giro di qualche ora nel fiume delle grandi banalità.

Ormai i politici sono come i gruppi di adolescenti che incontri per strada: nessuno parla all'altro, ma tutti in quel momento chattano con qualcuno che non è insieme a loro.

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