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L'importanza di non chiamarsi "Mudia"

L'importanza di non chiamarsi "Mudia"

Il nuovo museo di arte sacra di Sambuca, una delle belle città colpite cinquant'anni fa dal terremoto del Belice, è allestito con pulizia e grazia come il limpido museo archeologico in Palazzo Panitteri.

Allineato con il museo diocesano di Agrigento, il direttore, Giuseppe Pontillo, ha voluto coordinarli sotto l'acronimo MUDIA che sembra alludere a un museo diffuso, uno dei tanti acronimi che hanno involgarito la denominazione dei musei, determinando effetti comici come MAMBO, GAM, GNAM. Certo, dire: «Vado al MUDIA di Sambuca» sembra diminuire il profumo del luogo; e più che a una necessità sembra ubbidire a una moda.

Penso all'occasione perduta per un museo intelligente e ricco, con le tele di Felice di Sambuca, pittore visionario, i bellissimi argenti e paramenti sacri tra cui il parato Planeta che non teme il riferimento ai valori cristiani, tra fede e bellezza, di chiamarsi non MUDIA, ma, ben più efficacemente, «MIODIO»: tutto sarebbe allora più chiaro. «Vado a vedere MIODIO a Sambuca».

Si potrà così ritrovare in questi musei esemplari, vocati alla «propaganda fide», ciò che nell'arte ha visto Simon Weil: «In tutto quello che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello, c'è realmente la presenza di Dio. C'è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno.

Per questo ogni arte di prim'ordine è, per sua essenza, religiosa».

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