Cronache

L'imprenditore Giulio Lolli accusato di terrorismo estradato in Italia

L'imprenditore bolognese Giulio Lolli è arrivato stamattina a Ciampino. Il Libia era stato condannato all'ergastolo per terrorismo

L'imprenditore Giulio Lolli accusato di terrorismo estradato in Italia

Giulio Lolli, l'imprenditore bolognese condannato in Libia all'ergastolo per terrorismo e fiancheggiamento ad un gruppo estremista anti-Gheddafi, è rientrato in Italia. Lolli, conosciuto come il "pirata" o "Karim" come si faceva chiamare durante la sua permanenza in Libia, sconterà la sua pena nel carcere Regina Coeli di Roma. La storia di Lolli è degna di un film. Imprenditore bolognese, 54 anni, era detenuto dal 2017 a Tripoli e su di lui pendeva un'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Roma per terrorismo internazionale e traffico di armi. Oggi il suo rientro in Italia attraverso un corridoio aereo che lo ha portato all'aeroporto di Roma Ciampino.

L'operazione è stata condotta dagli 007 dell'Aise, l'agenzia informazioni e sicurezza esterna, che hanno curato i rapporti con le autorità libiche nelle varie fasi. Ad eseguire la misura cautelare sono stati i carabinieri del Ros. Le indagini, durate parecchi mesi, hanno accertato di come Lolli sia stato tra i comandanti del cartello islamista denominato Majlis Shura Thuwar Benghazi. Tanto che fino ad ottobre del 2017, Lolli era il comandante delle forze rivoluzionarie della marina. Ma non solo, perché Lolli dovrà rispondere anche di truffa ed estorsione per l'indagine "Rimini Yacht".

Ma facciamo ordine. Lolli era scappato dall'Italia a maggio del 2010, quando a seguito di alcuni accertamenti incrociati relativi alle iscrizioni di numerosi yacht, era emerso che grazie ad una società di San Marino, dove operava una sua testa di legno con una serie di prestanome come intestatari, ciascuno yacht, veniva finanziato due o addirittura tre volte, mediante contratti di leasing stipulati con società legate ad istituti bancari italiani e stranieri, per lo più sammarinesi, ai quali venivano sottoposti in sede di compravendita, documenti di conformità falsi, precedentemente estorti con la violenza a una sua ex dipendente che disponeva di una tipografia. Tra i nomi di spicco dei truffati, anche quello di Flavio Carboni, condannato per la vincenda P3.

Secondo gli investigatori, erano 86 le barche di lusso coinvole in questo giro d'affari miliardario. Tutte avevano almeno due, se non tre proprietari, alcuni con nomi inventati, altri con prestanomi per ottenere i finanziamenti. Gli utilizzatori in buona fede delle imbarcazioni vendute dalla Rimini Yacht, nel corso delle indagini, si erano dunque visti sequestrare le costosissime barche, in attesa che il giudice decidesse chi, tra le due o tre finanziarie, fosse il reale proprietario. Lolli, dunque, capite le intenzioni dei Carabinieri, era fuggito a Tripoli. I militari, nel frattempo, gli sequestravano beni per oltre 300 milioni di euro.

Lolli aveva trovato riparo grazie alla famiglia del poi deposto presidente Ben Alì. Qui era tornato in affari, mettendo su una sua società di import-export, ma sopattutto era diventato l'uomo fondamentale che garantiva le armi alle milizie di Bengasi che arrivavano via mare da Misurata. Ad insospettire gli investigatori un grosso movimento di denaro da Tunisi per l'Italia. Un amico di Lolli faceva periodicamente tappa in un centro commerciale di Forlimpopoli dove consegnava "pizzini" alla madre e recuperava tutto quello di cui Lolli aveva bisogno. Dopo la richiesta di cattura e di estradizione inviata dalla procura della Repubblica di Rimini alle autorità tunisine, Lolli, che non poteva più contare sulla protezione della famiglia Ben Alì, venne espulso e cacciato via mare.

Su una sua imbarcazione fece rotta su Malta, dove venne rifornito di carburante e viveri quindi, poco prima di essere intercettato dalle motovedette maltesi, che gli davano la caccia su ordine dell'Interpol, fece rotta su Tripoli. Qui trovato alloggio nel lussuoso Hotel Rixos, lo stesso che ospitò i giornalisti nei giorni della rivoluzione, vi rimase fino al suo primo arresto, nel gennaio del 2011, quando l'Interpol e le forze dell'allora leader libico Colonnello Gheddafi, riuscirono ad arrestarlo. Ma mentre era detenuto insieme con prigionieri politici, fu liberato dai ribelli ai quali si unì e con i quali, forse, combattè con un nuovo nome e una nuova religione. Si faceva chiamare Giulio Karim Lolli, aveva sposato una donna libica e solo sei anni dopo, nel 2017, fu arrestato dalle forze speciali di Al Rada, la squadra antiterrorismo libica con accuse gravissime.

Dopo due anni di detenzione, la sentenza dell'8 settembre 2019: ergastolo. E, infine, l'estradizione in Italia. Ma le indagini sono solo all'inizio. Si pensa che attorno a Lolli ci siano almeno tre persone fondamentali a cui l'imprenditore ha messo a disposizione la sua esperienza marittima e almeno due mezzi navali fatti venire dall'Italia, nella formazione e organizzazione delle truppe del "Majlis Shura Thuwar Benghazi".

Sull'altro fronte investigativo, i Carabinieri del Comando Provinciale di Rimini hanno eseguito nei confronti di Lolli altri due provvedimenti per truffa ed estorsione.

Commenti