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L'incertezza al governo ora fa tremare Salvini

Dalla Cina alla Tav, troppi nodi irrisolti per l'esecutivo. Il leader della Lega rischia di essere imbrigliato dal M5s

L'incertezza al governo ora fa tremare Salvini

Stati confusionali di governo. Nel Transatlantico di Montecitorio il sottosegretario agli Esteri leghista, Guglielmo Picchi, racconta un aneddoto sull'approssimazione che regna nel primo esecutivo Conte. «Ho letto quasi per caso il memorandum con la Cina sulla Nuova via della seta - spiega - e ho trovato tre parole che mi hanno impressionato: interoperabilità, energia, telecomunicazioni. Dico subito che la vicenda di questi rapporti privilegiati con Pechino parte da Prodi e passa attraverso i governi Letta, Renzi e Gentiloni. A parte questo, però, la vicenda è seria. Faccio un esempio: noi abbiamo già 11 caccia F35 che gestiamo con una piattaforma comune con gli Usa. Ebbene, se noi nell'ambito della interoperabilità mettiamo la Cina nelle condizioni di penetrare certi meccanismi, non mettiamo in pericolo solo la nostra sicurezza nazionale, ma anche quella degli Stati Uniti. Meno male che grazie a un mio tweet si è aperta una discussione». Una volta, nella prima Repubblica, ogni programma di governo si apriva con due pagine sulla politica estera considerate sacre come la Bibbia. Nell'epoca gialloverde, invece, la politica estera si fa con i tweet. Per giunta casuali. Per cui nessuna meraviglia se il governo Conte abbia litigato con Washington per non avere rotto con Maduro sul Venezuela, se per la prima volta dal 1940 la Francia per due settimane ha richiamato il suo ambasciatore a Parigi e, infine, se Roma abbia fatto imbestialire gli americani e l'Ue per la superficialità con cui sta trattando con Pechino. «Bisogna trattare con la Cina - osserva uno dei consiglieri di politica estera di Berlusconi, Valentino Valentini - sapendo che in questi anni gli americani si sono occupati dell'albero russo senza scorgere la foresta cinese. Ma trattano i competenti, invece, siamo in mano agli apprendisti stregone».

Altre cronache gialloverdi, altro dossier: la Tav. Ebbene, in una settimana lo scontro in maggioranza sull'argomento ha fatto aleggiare crisi di governo ed elezioni anticipate. Di botto tutto è finito. L'unica conseguenza è lessicale: non si parla più della Tav ma del Tav. Solo però chi, obnubilato dall'attrazione fatale per i grillini, ha perso la testa, come il direttore del Fatto, Marco Travaglio, può pensare ancora che l'opera non si faccia. Pure tra i 5stelle, infatti, si sta facendo largo la consapevolezza che il Tav, in un modo o nell'altro, andrà avanti. Un compromesso che il vicecapogruppo dei deputati 5stelle, Francesco Silvestri, pragmaticamente, descrive così: «Noi tenteremo di bloccarlo, ma se non ci riusciremo, ridurre l'opera va bene lo stesso».

Appunto, siamo al mini Tav, ma non si può dire visto che Conte continua a dire di no. Per cui il governo va avanti ma nella confusione, creando un'atmosfera di incertezza, nel Paese e a livello internazionale. Una situazione di cui non sono responsabili solo i 5stelle, ma pure la Lega e che, a lungo andare, trasformerà la strategia di Salvini di prolungare la vita a questo governo e a questa maggioranza, in un vero e proprio azzardo. E i primi a esserne consapevoli sono i colonnelli leghisti, a cominciare da Giorgetti, che assecondano - per nulla convinti - la strategia del capo. Anche perché i primi segnali di questo logoramento, del contagio della «sindrome» grillina sulla Lega, cominciano ad apparire. In controluce. Nell'ultimo sondaggio della maga Ghisleri, arrivato pure sulla scrivania di Arcore, l'indice di gradimento di Salvini va per la prima volta sotto il 50%, passando dal 51 al 48%. Il consenso della Lega è sceso dal 35% di un mese fa, al 34,6% di due settimane fa, a una percentuale tra il 33 e il 32% di oggi. Altro dato interessante: nel grado di identificazione dell'elettorato di un partito con il leader, Salvini è stato superato da Berlusconi. Ciò significa che una parte di opinione pubblica leghista ha qualche dubbio sulla politica del numero uno del Carroccio. Dati che probabilmente sono determinati anche dal crollo dei partner di governo: il premier Conte è passato in una settimana nell'indice di gradimento dal 45 al 40%; Di Maio è sceso sotto la soglia del 30% (tra il 27 e il 28%); il governo dal 40% al 38%.

Insomma, crisi e recessione mordono non solo il consenso grillino, ma pure quello leghista. Ed è opinione comune nelle opposizioni che la scelta di andare avanti con questo governo fino alle Europee, di fatto rendendo difficile se non impossibile l'opzione delle elezioni anticipate fino alla prossima primavera (in Italia non si è mai votato a luglio e neppure in autunno), sia una strategia ad alto rischio per il leader della Lega. «Le follie di questo governo - prevede Dario Franceschini, alleato forte del segretario del pd Zingaretti - hanno fatto crollare i grillini (secondo Pagnoncelli già sono sotto il 20%), e presto Salvini li seguirà. L'importante è che noi non parliamo più di immigrazione. Salvini farà ancora un fuoco di paglia alle europee. Poi il declino sarà più visibile. Si era messo la foto di Renzi sulla scrivania per non ripeterne gli stessi errori, ma lo sta imitando. Per cui fra un po' sul mio tavolo metterò la foto di Salvini».

Anche dentro Forza Italia hanno la sensazione che l'aria stia cambiando: il problema è che mentre il pd targato Zingaretti sta risucchiando il voto di sinistra andato ai 5stelle, gli azzurri stentano a riassorbire quello moderato. Eppure lo spazio ci sarebbe: la Confindustria si muove contro il governo come se fosse un partito. Inoltre per centrare l'obiettivo di un ritorno al centrodestra, il Cav deve dimostrare a Salvini, con i numeri, che questa alleanza non ha alternative. Il leader leghista, infatti, continua a lesinare aperture: nel vertice di ieri (senza il Cav) non ha ancora dato l'ok al candidato di Forza Italia per il Piemonte.

Per essere più incisivi gli azzurri dovrebbero forse fare chiarezza nella linea politica. Nella scorsa legislatura Forza Italia ha consumato il suo consenso nel limbo del Patto del Nazareno: non era al governo con Renzi, ma non era percepita neppure come forza di opposizione. Ora rischia di ripetere lo stesso errore speculare con Salvini. «Cresciamo in maniera inerziale - osserva Giorgio Mulè - solo grazie al Cav. Invece, avremmo praterie». «Ora - gli fa eco Gianfranco Rotondi - tutti ventre a terra per portare il Cav a Strasburgo, ma dopo le elezioni europee dobbiamo decidere che fare. Gli unici che incalzano e attaccano Salvini, siamo io, Miccichè e la Carfagna. La maggior parte dei nostri sono inebetiti. O ci sono quelli, specie gli ex An, che trattano la Lega con i guanti, sperando di essere contraccambiati con un seggio.

Se questa è l'opinione del Cav? No, questa è una menata che qualcuno si inventa per salvarsi l'anima».

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