Cronache

L'ipocrisia di quei figli che si fingono vittime

L'affronto dei figli del boss: vogliono passare per vittime

L'ipocrisia di quei figli che si fingono vittime

Minaccia denunce, si fa aiutare dalle forze dell'ordine per tenere lontani i giornalisti dall'ingresso dell'istituto di Medicina legale invocando a gran voce «rispetto» per il dolore di una famiglia e ripetendo come un mantra che lei ha «figli minori», «tre bambini piccoli» da «tutelare». Sarebbe soltanto l'ira di una donna che ha perso il padre se non fosse che la signora Maria Concetta, Mari per tutti, di cognome fa Riina. E che Riina, Totò Riina, suo padre, è stato il boss che allo Stato ha dichiarato guerra, vedi le stragi e gli uomini delle istituzioni che ha eliminato o fatto eliminare, lo dicono le sentenze per le quali stava scontando 26 ergastoli. Di qui il paradosso, evidente: la figlia, i figli del boss icona dell'anti Stato, figli che mai dal padre e dalla famiglia hanno preso le distanze, e che però vogliono usare a proprio vantaggio quello stesso Stato, rivendicando il diritto di essere difesi e tutelati.

Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Vero, verissimo. Vale per tutti, Riina inclusi. E però. E però per tutti, Riina inclusi, è troppo comodo tenere i piedi in due staffe, rivendicare con orgoglio di essere dei Riina, sostenendo che la mafia in casa chi l'ha vista mai (lo ha detto la stessa Maria Concetta, in un'intervista esclusiva a Quarto grado diffusa ieri: «Io quella mafia a casa mia non l'ho vissuta», anche se ha glissato sull'essere nata e vissuta come i fratelli in latitanza) e poi usare i mezzi di quello Stato legale che era il nemico numero uno di papà facendo anche le vittime.

Vittime. A vittima si atteggia sui social network il marito di Maria Concetta, Antonio Tony Ciavarello. Sulla sua pagina Facebook si presenta come «martire perseguitato dalla procura di Palermo» (la sua azienda in Salento è stata sequestrata dai pm) e su un'altra pagina a lui collegata, «Il boss non boss ma boss nel suo mestiere», racconta la sua storia di vittima in quanto marito di una Riina. Con tanto di colletta in denaro avviata sul sito collettiamo.it perché a suo dire, in quanto vittima, non trova lavoro e ha tre bambini piccoli da mantenere. E ovviamente senza prese di distanza dal suocero.

Vittima. Come vittima alcuni mesi fa si è presentata anche la piccola di casa Riina, l'ultimogenita Lucia, che quando è venuta ufficialmente al mondo dopo l'arresto nel '93 di papà Totò aveva 12 anni. Lucia, che fa la pittrice e che vive a Corleone (un quadro campeggia nel bar della piazza), è finita alla ribalta delle cronache perché ha chiesto il bonus bebè per la nascita di sua figlia. Il Comune di Corleone ha detto no, la notizia è finita sui giornali. E lei, su Facebook, si è indignata, al punto da annunciare che tramite il suo legale avrebbe chiesto al presidente della Repubblica la revoca della cittadinanza italiana: «Siamo anche noi cittadini Italiani? abbiamo uguali diritti? o NO!!!???», ha scritto furibonda in un post.

Richiamo ai diritti, minaccia di denunce contro i giornalisti. Quasi surreale questo ruolo di vittime che chi di cognome fa Riina prova a cucirsi addosso. Maria Concetta, su Facebook, ha chiesto silenzio per la morte del padre. Quel silenzio che forse sarebbe dovuto da tutti, Riina inclusi.

Soprattutto per rispetto delle vittime, quelle sì davvero vittime, trucidate da papà Totò.

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