Cronache

L'islamologo sulla conversione di Silvia Romano: "Potrebbe aver chiesto il Corano per capire meglio i suoi rapitori"

Al suo ritorno, la cooperante milanese ha confermato la scelta di essersi convertita. L'islamologo Paolo Branca ha provato a spiegare i passaggi della vicenda: "È evidente che se i rapitori fossero stati di un'altra religione o atei, sarebbe stata meno probabile la richiesta di una copia del Corano, seguita addirittura da una conversione"

L'islamologo sulla conversione di Silvia Romano: "Potrebbe aver chiesto il Corano per capire meglio i suoi rapitori"

È arrivata alle 14.10 di una domenica pomeriggio di maggio, a Ciampino, dopo 18 mesi di prigionia, divisa tra il Kenya e la Somalia. Silvia Romano, la cooperante milanese rapita nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi il 20 novembre 2018, e liberata due giorni fa vicino a Mogadiscio, ha potuto riabbracciare la sua famiglia. La prima immagine di lei che scende le scalette del volo che l'ha riportata a casa, è quella di una ragazza stretta in un lungo abito della tradizione somala, color smeraldo, e il velo sul capo, che non si è mail tolta. Alla psicologa dei servizi segreti che, per prima, in Somalia, ha ascoltato il suo racconto, Silvia Romano avrebbe confidato di essersi convertita all'islam. Senza, però, alcuna costrizione da parte dei suoi sequestratori. La giovane volontaria, infatti, sentita dal pubblico ministero della procura di Roma, Sergio Colaiocco, e dagli uffici antiterrorismo che, in questi mesi, hanno seguito il suo caso, avrebbe confermato la sua scelta.

"È vero, mi sono convertita", avrebbe spiegato la 25enne durante la sua lunga audizione di ieri pomeriggio. Ai carabinieri del Ros avrebbe detto di aver pianto per tutto il primo mese di prigionia e di aver abbracciato la religione islamica a metà del suo sequestro, senza alcuna costrizione: "Ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata". Come riportato questa mattina dal Corriere della sera, la cooperante avrebbe anche scelto di cambiare il suo nome in Aisha. "Leggevo il Corano, pregavo. La mia riflessione è stata lunga e alla fine è diventata una decisione", avrebbe chiarito la giovane. Paolo Branca, islamologo e docente di Storia delle religioni all'Università cattolica di Milano, interpellato dal Giornale.it, ha spiegato come, in casi come questo, ci sia spesso un trauma all'origine del distacco dalla fede, magari, dei propri familiari e ha provato a interpretare i segni (visibili e nascosti) di quanto raccontato da Silvia nelle sue prime ore di libertà.

Professor Branca, la conversione di Silvia è oggetto di grande discussione in queste ore. Casi di questo genere sono frequenti nella storia dei rapimenti?

"Per esperienza personale, avendo conosciuto sia cristiani convertiti all'islam che musulmani divenuti cristiani, mi pare di poter dire, in generale, che un passo del genere non è mai banale. Non si cambia religione come bere un bicchiere d'acqua. Anche in condizioni 'normali', c'è spesso un trauma all'origine del distacco dalla fede dei propri genitori e non a caso molti si vedono poi impegnati più a denigrare la religione abbandonata che a magnificare la nuova".

Amanda Lindhout, la freelance canadese rapita nell'agosto del 2008 da una cellula islamica in Somalia, tornò libera nel 2009 dopo mesi di prigionia in cui venne seviziata e stuprata. Anche lei apparve velata e soltanto tempo dopo dichiarò di essersi convertita per sopravvivere. Fino a che punto un ostaggio può dirsi libero di scegliere e totalmente svincolato dalle pressioni dei suoi carcerieri, secondo lei?

"Impossibile dirlo. Anche per i messaggi video cui militari catturati sono stati costretti, le singole personalità emergono, dando vita a una serie infinita di casi distinti".

Perché, secondo lei, la cooperante ha chiesto il Corano e non la Bibbia, per esempio?

"Non credo che gliel'avavrebbero data. E comunque, conoscere il testo sacro dei suoi rapitori può averla aiutata a capirli meglio e a usare un linguaggio a loro noto. Dato il suo impegno parrocchiale, penso inoltre che la Bibbia la conoscesse già bene".

Ci spieghi il concetto di "capire meglio" i suoi rapitori. Silvia, per esempio, durante le sue ore di interrogatorio, avrebbe dichiarato di aver imparato anche un po' di arabo.

"Conoscere le lingue altrui è sempre un vantaggio, anche in chiave difensiva. Maometto, per esempio, diceva: 'Chi conosce la lingua di un popolo si mette al riparo dalle loro astuzie'".

Quindi, ritiene sia stato più un adattamento o una scelta?

"Posto che non è detto che i rapitori abbiano parlato arabo ma forse più un dialetto con qualche parola araba (come spiegato anche dalla giovane cooperante durante l'audizione, ndr), impadronirsi un po' la lingua del mio avversario mi aiuta a conoscerlo meglio, sicuramente. Imparare il linguaggio con cui interagisce, aiuta a comprendere".

Quale meccanismo psicologico può essersi avviato in lei nei 18 mesi di prigionia? Perché una conversione proprio a metà del sequestro? Possibile sia stata "vittima" di quella sindome che lega gli ostaggi alla realtà dei suoi sequestratori?

"Non conoscendo la ragazza è impossibile dirlo. Ma è nota la cosiddetta 'sindrome di Stoccolma', il meccanismo per cui un prigioniero può addirittura innamorarsi del proprio carceriere".

Quindi, la conversione all'islam può essere stata influenzata dal fatto che i suoi sequestratori appartenessero molto probabilmente a un gruppo fondamentalista?

"Mi pare evidente che se i rapitori fossero stati di un'altra religione o atei, sarebbe stata meno probabile la richiesta di una copia del Corano, seguita addirittura da una conversione".

C'è il rischio di una forma di radicalizzazione, in casi come questo? È presto per dirlo?

"In generale, i neoconvertiti sono più scrupolosi dei credenti comuni, ma ci sono anche forme di avvicinamento spirituale che non comportano né risentimento verso la fede precedente, né atteggiamenti radicali".

Silvia Romano è atterrata a Ciampino con un lungo abito che, forse, più di ogni altro elemento ha destato l'attenzione di molti. In casi come questo, l'abbigliamento può essere considerato un simbolo? Che significato ha?

"Il velo, nelle sue varie forme, per esempio, è simbolo di modestia e castità, oltre che di sottomissione a Dio. Al di là di questo, però, credo che chi esce da una simile esperienza possa anche sentirsi 'protetto' dal velo dai molti sguardi che si vedrà puntati addosso".

La giovane cooperante, durante la sua lunga audizione ieri, avrebbe riferito di aver sentito il canto del muezzin più volte al giorno, durante le fasi della sua prigionia. Crede che quell'appuntamento possa averla influenzata nell'abbracciare la fede islamica?

"In situazioni di grave privazione della libertà, qualsiasi suono, immagine e persino odore possono diventare ossessivi o consolatori. Molta letteratura araba moderna concentrazionaria lo testimonia ampiamente".

Il Corano potrebbe aver avuto una funzione "consolatoria" nel suo caso?

"Tutti i testi sacri di ogni religione hanno parole di conforto e speranza per gli esseri umani che vivono l'esperienza del limite, del dolore e della morte. Il Corano, in particolare, sottolinea l'abbandono fiducioso al volere divino anche nelle avversità, fino a un certo grado di fatalismo che, in situazioni estreme e senza uscita, può risultare consolatorio".

Alla psicologa che l'ha accolta in Somalia e che ha volato con lei nel viaggio di ritorno la volontaria milanese avrebbe confidato di aver cambiato il suo nome in Aisha. Che idea si è fatto di questa scelta?

"Aisha è il nome della più giovane e amata moglie del Profeta, che era dotata però an che di un carattere forte, vivace e persino un po' ribelle".

Professor Branca, c'è chi ha parlato di una vittoria propagandistica di al Shabaab, in queste ore, dovuta sia alla conversione (senza apparenti costrizioni) della ragazza, sia al comportamento "compassionevole" avuto con lei. In tanti, adesso, temono che il gruppo fondamentalista possa essere visto sotto un'altra luce. Lei che cosa ne pensa?

"Persino i nazisti chiesero a Freud, prima di lasciarlo partire da Vienna per la Gran Bretagna, una dichiarazione scritta di essere stato trattato bene. Da genio quale era, la vanificò aggiungendo al testo già scritto una frase di suo pugno: 'Posso sinceramente raccomandare le Ss a chiunque'.

In futuro, vedremo se Silvia aggiungerà particolari alla storia che, per ora, conosciamo poco, magari ribaltandone il senso apparente".

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