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L'istinto naturale che tiene unite Lega e Forza Italia

La vera solidarietà Salvini la trova nel centrodestra. E i sondaggi lo premiano: in 24 ore più 1,8% per la Lega

L'istinto naturale che tiene unite Lega e Forza Italia

Che lo dica un leghista colpisce, non fosse altro perché tutti ricordano quell'immagine della prima Repubblica del deputato del Carroccio, Orsenigo, che agita il cappio. Ma i tempi cambiano e ieri il capogruppo dei deputati, Riccardo Molinari, ha rinfacciato a quattr'occhi a Graziano Delrio, capogruppo del Pd, lo scarso garantismo dimostrato sulla richiesta del tribunale dei ministri di procedere contro Matteo Salvini. «Renzi - ha poi spiegato - ha perso una buona occasione per stare zitto: il Pd fa il garantista solo quando gli pare, neppure di fronte a una decisione squisitamente amministrativa come quella sulla Diciotti si sono fermati! I grillini? Lasciamo perdere, quelli non sanno neppure quello che fanno». Al Senato si lascia andare a un discorso simile, cosa di per sé sorprendente, anche un avversario della Lega come Pier Ferdinando Casini. «Il Pd è stato vergognoso - spiega - non lo seguirò sull'autorizzazione a procedere contro Salvini. I 5stelle, invece, da sacerdoti del giustizialismo in questo caso si mangeranno un'abbondante porzione di merda. E si faranno male». E lo stesso «menù» indigesto per Giggino Di Maio e compagni, lo prevede il senatore del Carroccio Paolo Arrigoni: «Ma come fanno a votare contro Matteo? Vogliono la crisi, le elezioni? I grillini si sono messi in un cul de sac. Bastava che avessero capito per tempo che quella di Salvini sui migranti della Dicciotti, fu una scelta politica. E, invece, si sono fatti prendere dal raptus, dalla scorciatoria del processo e ora debbono tornare indietro».

O per ignoranza, o per un raptus, o per quel richiamo della foresta che per grillini e Pd è l'idea che bisogna assecondare sempre e comunque i magistrati, sta di fatto che i primi ora debbono fare capriole e salti mortali per tentare una conversione a U, per passare da un «sì» all'autorizzazione al processo del vicepremier leghista, ad un «no»; i secondi, invece, debbono fare i conti con una crescita dei consensi della Lega. E già, perché il «giustizialismo» poi nelle urne non paga. Ne sa qualcosa il Cav che sulla figura del martire ha costruito le proprie fortune in politica. Tant'è che la maga dei sondaggi, Alessandra Ghisleri, dopo le polemiche sull'autorizzazione al processo di Salvini e quelle per i 47 immigrati bloccati sulla Sea Watch, in 24 ore ha registrato un aumento dei consensi per il Carroccio - che pure nelle ultime settimane era in fase discendente - dell'1,8% (ora lo valuta al 33,7%). I grillini invece sono precipitati al 24% (perdendo più di un punto), il Pd è sceso al 16%, mentre Forza Italia, pur perdendo qualche decimale, è rimasta sul 10%. «Se continueranno a fargli questi piaceri - commenta con il tono del tecnico la Ghisleri - alle europee porteranno Salvini al 40%, ripeterà l'exploit di Renzi».

Purtroppo, però, non c'è nulla da fare: la sinistra ha nel suo Dna questo richiamo della foresta, questa subordinazione politico-culturale verso la magistratura di parte. E nei grillini questo automatismo è ancora più spiccato. Il gene è lo stesso: pensano sempre di combattere, o contenere, il proprio avversario «politico» per via giudiziaria. Due giorni fa, in una pausa della trasmissione Porta a porta, a un amico che gli chiedeva cosa avrebbe fatto il movimento sulla vicenda Salvini, Di Battista, il Che grillino, aveva profetizzato: «Non possiamo che votare a favore dell'autorizzazione». Beccandosi una risposta piccata dal suo interlocutore: «Te e Di Maio finirete appesi come salami». Del resto dal «Dibba» non è che puoi aspettarti altro quando il Suslov del movimento, Marco Travaglio, scrive sul Fatto: «Votare no per i grillini sarebbe un suicidio politico, per l'abbraccio mortale con leghisti e forzisti a protezione di un ministro che non vuole farsi processare». Semmai il maître à penser a 5stelle propone ai ministri di autodenunciarsi tutti alla Procura di Catania. In questo modo, secondo lui, ci sarebbe un pronunciamento del Tribunale, che varrebbe per il passato ma anche per i prossimi barconi in arrivo: «Una sentenza della magistratura sarebbe molto più autorevole e auspicabile di una decisione del Senato». Sarebbe come ratificare la subordinazione del Parlamento al potere giudiziario: appunto, il richiamo della foresta. Una strada che il leghista Garavaglia liquida come «una scemenza».

Il punto è che in questa occasione «il richiamo della foresta» ha messo il movimento nei guai. Per evitare la minaccia di crisi ed elezioni, il vertice grillino ora dovrà cercare di mutare posizione senza perdere la faccia. Per cui nell'ala «governativa» del movimento, tra i «dorotei a 5stelle», è un fiorire di ipotesi e teorie. Conte già si è assunto la responsabilità della vicenda Diciotti in una memoria che riporta le argomentazioni sul «caso» che fece nel discorso del 12 settembre scorso: ma il problema è che di fronte alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato c'è il vicepremier e non lui. O, ancora, c'è l'espediente di votare contro Salvini in Giunta per poi lasciare libertà di coscienza in aula, garantendo i voti al leader leghista. Ogni fantasia è buona per salvare il salvabile. Ma alla fine è molto probabile che, per evitare guai peggiori, i grillini dovranno bere l'amaro calice e votare contro l'autorizzazione.

E pensare che anche Salvini, all'inizio della vicenda, era stato attratto dalla suggestione di «farsi processare», di andare davanti ai giudici con il petto in fuori. Poi qualcuno l'ha fatto ragionare, gli ha spiegato che con la magistratura è meglio non scherzare. «Quando l'avvocato - racconta Ignazio La Russa, che con i leghisti ha rapporti stretti - gli ha spiegato che in un processo poteva anche finire male, Matteo ha cambiato idea: Cribbio, fulmini e saette. Al costo di una crisi di governo bisogna evitare il processo». E non dev'essersi sbagliato se ieri in un tweet l'ex presidente del Senato, Pietro Grasso, già magistrato, commentava: «Salvini deve avere parlato con un buon avvocato. Da qui la differenza tra il leone d'agosto e l'agnello di stamattina».

Se il cambio di programma ha messo in ambasce i grillini, il «richiamo della foresta» dei magistrati non aiuterà neppure la sinistra: l'operazione «giudiziaria» sulla vicenda Diciotti rischia di aumentare i consensi di Salvini, senza portarlo alla sbarra. E magari di nascondere una notizia ben più problematica per il governo che probabilmente l'Istat confermerà oggi: l'Italia è in recessione. Ma, si sa, è difficile emanciparsi dai vecchi vizi. La verità è che, alla fine, per affinità culturali o per avere fatto parte per tanti anni dello stesso schieramento, o, ancora, per vicinanza tra perseguitati, sul tema della giustizia la solidarietà, quella convinta, Salvini la trova nei vecchi alleati del centrodestra. Sandra Lonardo, senatrice di Forza Italia e consorte di Clemente Mastella, vittima di quell'inchiesta, da cui è stata assolta, che portò alla crisi del governo Prodi nel 2008, spiega: «Io voterò convintamente contro l'autorizzazione a procedere per Salvini, anche se su una vicenda dolorosa per me, i leghisti non fecero altrettanto. Quello che c'è di buono è che Salvini, con le sue minacce, sta imponendo il garantismo anche al giustizialismo 5stelle».

Già, per amor di governo, anche i grillini sono disposti a cambiare pelle.

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