L'olio che imbarazza le coop rosse
Olive nordafricane e nessuna certificazione che attesti il rispetto dei diritti primari dei lavoratori della filiera, il caso imbarazzante tra gli scaffali delle "Coop Centro Italia"
Olive nordafricane e nessuna certificazione che attesti il rispetto dei diritti primari dei lavoratori della filiera, il caso imbarazzante tra gli scaffali delle "Coop Centro Italia"

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Sono Ivano Mocetti Direttore Generale di Costa d'Oro SpA. Spiace leggere un articolo ingiustamente denigratorio nei confronti di un'azienda che ha sempre fatto della qualità, della trasparenza e dell'attenzione al Consumatore la Sua filosofia di gestione. Prego leggere nota per il consumatore sul nostro sito https://www.oliocostadoro.net/olio-costa-doro-i-non-filtrati-il-biologico/. Bastava leggere appunto la nota per comprendere come opera la nostra società e ciò avrebbe potuto evitare di diffondere notizie non rispondenti al vero. Venendo al caso di specie: la parte di olio non comunitario (dichiarato, infatti, correttamente come di provenienza mediterranea) proviene da un unico fornitore, che ha certificazione BSCI, del tutto equivalente a quella SA 8000 evocata. La nostra società, inoltre, è certificata da Intertek WCA, certificazione etica e sociale. La giornalista purtroppo non si è informata prima di scrivere un tale articolo diffamatorio. Sorgono spontanei alcuni interrogativi: è forse un reato – o anche solo una reale mancanza - non avere una certificazione volontaria SA8000, per di più avendone di equivalenti? Perché non si è fatta una seria analisi sulle aziende che operano nel settore verificando realmente chi ha e chi non ha le varie certificazioni, non solo per l’eticità, ma anche per la sicurezza e la qualità dei prodotti? Ed ancora: cosa c'entra con un olio biologico la sponsorizzazione della Nazionale Italiana di calcio, che, da Italiani, siamo orgogliosi di sostenere al di là della partecipazione o meno ai mondiali in Russia? Signora Barlozzari, la nostra Azienda è costituita da Lavoratrici e Lavoratori operosi che si impegnano ogni giorno, portando i propri prodotti ed il proprio nome non solo in Italia, ma in oltre 100 Paesi nel mondo. Noi, ma soprattutto i nostri partner (come Coop) ed i nostri consumatori pretendono rispetto, non giudizi fatti di sospetti, accuse prive riscontro ed addirittura non vere, esse si lesive della italianità delle aziende e dei loro lavoratori. Per questo La inviteremo a rispondere del suo articolo nelle sedi competenti. Costa d'Oro è a disposizione invece di chiunque voglia approfondire per fornire risposte o elementi che possano aiutare a ripristinare la Verità. Ivano Mocetti
Etica, garanzie e rispetto dei diritti umani e dei lavoratori. In poche parole il manifesto delle virtuosissime “coop rosse”. Ma andando a grattare dietro la patina buonista di quel manifesto d’intenti, sbandierato “urbi et orbi” sul sito internet dalla compagnia, qualcosa sembra non quadrare.
Basta fare un giro tra gli scaffali delle “Coop Centro Italia”, quelle di Umbria, Toscana, Abruzzo e Lazio, per imbattersi in un prodotto che non ha le carte in regola per rispecchiare il tenore dei proclami aziendali. Si tratta di un olio biologico, l’olio “Costa d’Oro” che, con buona pace del “Made in Italy” e dei nostri coltivatori, non è realizzato con olive italiane, né comunitarie. Le materie prime vengono dal Nordafrica, dagli oliveti assolati del Maghreb (Marocco, Algeria, Marocco) e della Turchia. Da paesi extracomunitari, insomma, dove il costo del lavoro è decisamente inferiore a quello italiano. Una scelta, quella di importare le materie prime dall’estero, che accomuna molte imprese del Belpaese e, non solo in campo alimentare, riguarda diverse categorie merceologiche. La garanzia che dietro l’acquisto di questi beni non si nascondano le piaghe del lavoro minorile o nero, del caporalato e più in generale dello sfruttamento, è data da una certificazione necessaria per entrare nel circuito Coop: la cosiddetta “Certificazione SA8000” che misura il grado etico e la responsabilità sociale di un’azienda. Un motivo di vanto per la Coop che, nel 1998, è stata la prima in Europa e l’ottava nel mondo ad adottarla.
Eppure la Costa d’Oro sembra esserne sprovvista dato che non compare negli elenchi del 2016 e nemmeno in quelli del 2017. Una svista? Di sicuro c’è che l’azienda non può garantire l’italianità del suo olio e, allo stato dell’arte, nemmeno il rispetto dei diritti primari della mano d’opera coinvolta nella filiera produttiva. Il paradosso, a questo punto gustoso, è che il suo marchio è in bella mostra sulle maglie della nazionale di calcio italiana, quella che non andrà al mondiale in Russia, quella sconfitta per confusione e mancanza di coraggio, quella sventurata e sciagurata. L’azzurro Costa d’Oro è una promessa tradita.
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