Cronache

L'ultimo applauso ad Ermes nell'assenza colpevole dello Stato

Le immagini del feretro di Ermes Mattielli rinforzano il senso di ingiustizia in uno Stato che difende i malviventi ed abbandona le persone oneste

L'ultimo applauso ad Ermes nell'assenza colpevole dello Stato

Ermes Mattielli diceva di essere "stato derubato di notte e deriso dalla giustizia di giorno". Ora bisogna purtroppo aggiungere che è stato anche abbandonato. Abbandonato dallo Stato, dal governo che non ha speso alcuna parola per lui. Dall'Italia che continua a difendere i ladri e a bastonare le brave persone che cercano solo di difendersi. Ermes condannato a 5 anni e 4 mesi di galera. Ermes obbligato a pagare 135mila euro di risarcimento ai rom che volevano derubarlo. Ermes la cui casa finirà in eredità agli stessi ladri.

Le immagini del feretro del rigattiere di Vicenza, morto qualche giorno fa di infarto, fanno riflette. Il duomo di San Michele Arcangelo ad Arsiero, pieno di rispetto e vuoto dello Stato. Sulla bara di Ermes, prima di chiudere per sempre la sua storia sotto la lapide che lo ricorderà, gli amici e i sostenitori hanno depositato le bandiere della Serenissima (guarda qui il video). Non è un caso. Quando ilGiornale.it lo intervistò poco prima che morisse, Ermes disse a denti stetti: "Noi qui ora ci vergognamo un po' di essere italiani. Perché lì a Roma non sanno cosa sia il rispetto della proprietà, il rispetto della brava gente, il rispetto della proprietà". Aveva ragione lui. L'Italia di questo Stato non ha nessuna considerazione di chi lavora onestamente e vive di poco. Ma che per sopravvivere coltiva alcune verdure - come faceva Ermes -, non va a depredare i beni altrui.

"Sono 10 anni che tentano di farmi cadere - ricordava Ermes - Ma la solidarietà della gente mi dà la forza di reagire". Alla fine, però ha ceduto il suo cuore. Nemmeno allora le istituzioni hanno pensato fosse doveroso portare il loro saluto a una persona normale che contro la sua volontà è stato costretto a difendersi. Legittima difesa. Ermes non rivendicava il "diritto di uccidere". Ma quello di difendersi. "Rivendico il diritto di dire che di notte a casa mia non puoi entrare a rompere i coglioni", diceva nel linguaggio semplice che lo contraddiceva. Semplice ma lineare, opposto a quello politicante di chi si arrampica sui particolari dell'eccesso di legittima difesa. Professori quando non tocca a loro trovarsi con una pistola puntata addosso o al decimo furto in pochi mesi. Per questo al suo funerale era presente Stacchio, il benzinaio simbolo di un Paese slegato dalla sua classe dirigente.

Ermes, involontariamente, ha dato una lezione allo Stato. Che forse, però, non riuscirà ad apprendere. "Senta - mi diceva Ermes - io da piccolo rubai una mela in un campo. Il proprietario mi diede un grosso schiaffo. Quando tornai a casa mi guardai bene dal dirlo a mia madre, altrimenti me ne avrebbe dati altri tre. Ma ormai è cambiata la cultura della legalità".

"Caro Ermes - si legge in una lettera arrivata da una signora e letta davanti al feretro - ti hanno rubato le cose, ti hanno rubato la tranquillità, ti hanno rubato la casa, ti hanno rubato la vita. Ma una cosa non potranno rubarti: la dignità". (guarda qui il video)

Lo Stato, però, ci ha provato.

Di schiaffi a Ermes ne ha dati tre: quando ha permesso ai rom di fare quello che volevano; quando lo ha condannato; ed ieri che lo ha lasciato solo nel giorno del suo funerale.

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