Cronache

L'Urbe eterna che si autodistrugge

L'Urbe eterna che si autodistrugge

Il mio amico er Garibaldino, che è andato a scuola dai geometri con Renatino (De Pedis) e che una sera ha tirato con lui da Porta Portese a ponte Marconi uno con il Kawasaki 750 blu e l'altro con un Lamborghini Miura verde mela , dice che «Roma è fracica». I tassisti sono depressi, i negozianti idem, gli utenti alle fermate dei bus non ne parliamo nemmeno, i conducenti degli stessi pure, i romani non si riconoscono per quanto hanno i tratti del corpo sconvolti e l'umore sotto zero. In fondo anche i turisti, con i loro fagotti di plastica che si aggirano seguendo traiettorie schizzate quanto le zanzare attorno alle gloriose Rovine, sono spinti dentro una gabbia umana fatta di rassegnazione e isteria. Roma appare una città da Dopoguerra. Sembra che palazzi, strade butterate quanto epidermide lebbrosa, cittadini, traffico, siano incollati tutti insieme, immobilizzati ormai nell'attesa del tempo che verrà. Intanto vola per aria e ricade a terra morendo Elena Aubry (nella foto). Sgroppa dalla sua Hornet 600, il casco salta prima di lei. E poi la venticinquenne, con gli occhi color giada, stramazza sull'asfalto. Sarà stata una buca? Un dosso imprevisto? O una delle tante gobbe sull'asfalto causate dalle radici dei famosi pini che furono la segnaletica nobile dell'arte di tracciare strade degli antichi romani?

E ancora il bus che si incendia a via del Tritone gettando nel panico l'intera zona, con le fiamme identiche a quelle che sprigionano palazzi e mezzi centrati da attentati o bombe. Mi è montato in testa un pensiero imbarazzante: Roma si sta facendo la guerra da sola. E un altro pensiero: Roma si vuole sotterrare da sola. E un terzo: Roma è un cadavere che fa finta di vivere.

Alla Romanina, sul Raccordo Anulare, quando la città aveva un certo alito di vita, tra le automobili, a sera, si gustavano le luci delle fabbriche di lampadari. Era una giostra e una luminaria che non so se sia mai entrata in un film. Nel traffico (sempre stato) quelle luci facevano sorridere adulti e bambini, genitori e figli. Invece abbiamo saputo che là dietro, presso un locale che si chiama «Roxy bar», nel pomeriggio di Pasqua scorsa, due tipi di un clan sono entrati e siccome (pare) non avessero pazienza di aspettare il loro turno per essere serviti, non potevano neppure sopportare le lamentele di una disabile che si vedeva scavalcata. Allora piglia e l'hanno frustata o presa a cinghiate. Roba da Colosseo quando si spellavano i cristiani. Eccola qui Roma! Roma «fracica».

Noi, tra l'altro, pensavamo che in Italia un «Roxy bar» esistesse (pare ora abbia tirato giù la serranda) solo a Bologna, appunto a 375 chilometri dalla Capitale. E che, soprattutto, fosse il covo mitico di Vasco Rossi in Vita spericolata. Sì Vasco cantava di «vita maleducata», «che se ne frega di tutto, sì», «di quelle che non dormo mai». E però un verso dice pure: «E poi ci troveremo come le star»; chiaro: «A bere del whisky al Roxy bar». Grande malinconia, superlativo struggimento. C'è di mezzo la parola star, che rimanda al sogno, alla bellezza... Tutto ciò che Roma non ha più.

Proprio lei che è stata la Stella più luminosa del mondo infame.

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