Cronache

La macchina del fango? C'era già ai tempi di Pompei

Insulti, "meme" e fake news non sono un'invenzione di oggi: sui muri della città, tra "prostitute" e accuse sanguinose c'è il romanzo politico dell'antica Pompei

La macchina del fango? C'era già ai tempi di Pompei

Insulti, meme virali che deridono l’avversario, fake news: la macchina del fango è l’emergenza contemporanea, almeno dicono, della politica di oggi. In realtà, da che esiste l'agone politico (quindi praticamente da sempre), c’è lo scontro, durissimo, tra fazioni e personaggi, tra favorevoli e contrari. Rimpiangere un’ipotetica età dell’oro della politica sobria e rispettosa è un esercizio vano e retorico. E i programmata, le scritte “elettorali” ritrovate a Pompei - e che risalirebbero, dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. fino a circa un secolo e mezzo prima - lo dimostrano.

Erano due le cariche, a Pompei, a cui si ambiva. Due coppie di magistrati elettivi, i duoviri, con competenze superiori legate all’amministrazione cittadina e a quella della giustizia civile e gli edili, di rango inferiore, deputati alla gestione dell’annona e della vita pubblica (specialmente spettacoli e ludi). Erano chiamati al voto tutti i cittadini maschi, senza differenze di ceto o di classe.

Come ogni linguaggio, pure quello elettorale dell’antica politica pompeiana si serviva di formule, sigle, codici immediatamente comprensibili al pubblico e di sicuro impatto. È certo un luogo comune, però efficace: i muri erano i social network (e lo sono ancora oggi) delle comunità. Le scritte, le incisioni, restituiscono scenari, argomentazioni, accuse, figure e metafore che sembrano contemporanei.

Lo schema è quello degli “Ovf”, abbreviazione dell’espressione latina, oro vos faciatis traducibile come vi prego di eleggere. Introduce il nome dei candidati, la carica a cui ambiscono e riportano nome e “firma” dei suoi sostenitori. Spesso singoli cittadini, a volte intere corporazioni (come i quactiliari, i feltrai, i pomarii, i fruttivendoli, i fullones, gli antichi lavandai o gli aurifices, gli orefici), persino “sportivi” (i pilicrepi, i giocatori di palla e i latruncularii, gli scacchisti del tempo, appassionati di un gioco di pedine tipico dei primi secoli dopo Cristo), che rivendicavano il sostegno al candidato. Altre volte, però, erano loro stesse destinatarie di un appello al voto, a favore di questo o di quel candidato.

Ambitissimo fu il sostegno degli osti (i caupones); le taverne, frequentate da tantissima gente, finivano per fungere da comitati elettorali per i candidati più in vista. Anche le donne, seppur prive del diritto di voto, finirono protagoniste della politica pompeiana e giunsero a firmare i loro appelli al voto. Come l’ostessa Caprasia che, “una et vicini” (a nome suo e del vicinato), insieme al marito Ninfio chiese pubblicamente il voto per l’edilità di un certo Aulo Vettio Firmo.

La formula, semplicissima, presto fu piegata alle campagne di segno opposto, quelle tese a denigrare gli avversari.

In via dell’Abbondanza è rimasta una scritta. Che in italiano suona : “Caio Giulio Polibio a duoviro. Lo chiede Cuculla”. La particolarità di questa iscrizione sta nel fatto che il nome della “firmataria” fu oggetto di un tentativo di cancellazione. Cuculla, infatti, è quello che si dice un nome parlante, in latino cucullus sta per “cappuccio”. E per alcuni esperti, la definizione starebbe ad alludere a una donna di facili costumi e, per estensione, quell’endorsement (fasullo?) avrebbe messo in discussione, agli occhi dei divertiti (o indignati) elettori pompeiani, la moralità e l’affidabilità del candidato. Altri inviti assimilabili a questo, ugualmente ambigui (furono semplici cameriere o cortigiane?), sono vergati sulle mura della taverna di quella stessa via - ma a sostegno dell'aspirante edile Caio Elvio Sabino - e riportano nomi "esotici" come Maria, Egle, Smirna (nome che, come quello di Cuculla, fu cancellato dai sostenitori di Elvio Sabino) e Asellina.

Peggiore e sicuramente inequivocabile fu l’attacco portato al sannita Marco Cerrinio Vazia lungo quelle che oggi sono la via degli Augustiali e quella dedicata alla Fortuna. I suoi irriducibili avversari si produssero in una serie di scritte pseudo elettorali o di aperto sfavore. Identificandosi come Floro e Frutto, nomi più fasulli degli account falsi e dei troll che lanciano annunci e polemiche sui social, invocano per lui il sostegno leale dei “seribibi universi”, cioé di tutti gli ubriaconi, i gaudenti.

E non basta. Per screditare lui e qualche altro politico del tempo, furono tirate in ballo categorie che nello scontro politico sono, ancora, d’estrema attualità. Invocati oggi come allora, e disegnati qualli sostenitori in malafede di questo o quel candidato. Come i “furunculi”, cioé i ladri e i borseggiatori o i “dormientes”, gli addormentati, gli ignavi, quegli stessi a cui oggi si rinnovano, ovunque, gli appelli ad “aprire gli occhi” e a svegliarsi.

Più datata, invece, l’offesa (a quei tempi sanguinosa) di esser sostenuti, politicamente, dai drapetae ossia dagli schiavi ribelli, scappati via dalle domus dei loro padroni e datisi alla macchia. Tra gli insulti, questo per la mentalità dell'epoca (considerata anche la coeva rivolta servile guidata dal gladiatore Spartaco tra il 73 e il 71 avanti Cristo), era forse il peggiore.

Ma oggi come allora, all’alba del primo secolo dopo Cristo come al tempo di Facebook e Twitter, la lotta più serrata resta quella per la visibilità. Il proprio messaggio doveva (e deve) raggiungere quante più persone possibili. E se oggi la battaglia è sulle condivisioni sul “fai girare”, sulla censura dei contenuti da parte dei social network, a Pompei la rabbia di un suffragator si espresse in un singolare “augurio” ai suoi avversari.

Dato che, evidentemente, qualcuno continuava a cancellargli l'invito al voto a duoviro per tale Lucio Stazio Recetto, il vicino Emilio Celere, rivendicando di aver scritto tutto lui, rivolse solenne maledizione ai nemici: “Invidiose / qui deles / ae[g]rotes”, che – alla buona – possiamo tradurre come l’invocazione di un accidente all’avversario invidioso che continuava a cancellargli l'endorsement.

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