Cronache

Meno tasse non solo ai poveri Salvini parte bene

Con la flat tax si dà un colpo all'invidia sociale e si sgretola un altro muro fatto da preconcetti ideologici

Meno tasse non solo ai poveri Salvini parte bene

È chiaro che un governo, qualunque governo, si debba giudicare più dai fatti che dalle parole. Ma queste ultime non si devono sottovalutare. Quelle del premier, per i motivi che ha spiegato ieri Alessandro Sallusti, non convincono.

Non altrettanto si può dire delle prime uscite del vicepremier, Matteo Salvini. In un'intervista rilasciata a Radiorai ha detto: «Se uno fattura di più e paga di più è chiaro che risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più. Non siamo in grado di moltiplicare pani e pesci. Ma l'assoluta intenzione è che tutti riescano ad avere qualche lira in più in tasca da spendere». Insomma non c'è nessun pregiudizio, pensando alla flat tax, sul fatto che i cosiddetti ricchi paghino meno tasse. Vi sembra poco? A chi scrive no.

Nel 1994 fu Berlusconi a inaugurare la stagione comunicativa del «meno tasse per tutti». Fu criticato. Oggi nessuno si permette di contestare l'esigenza di ridurre le imposte.

Con la flat tax si dà un colpo all'invidia sociale, si sgretola un altro muro fatto da preconcetti ideologici. Chi fattura di più e viene tassato di meno, investe, spende e assume di più. Queste parole contano. Certo occorrerà metterle in pratica. Ma portiamoci a casa questa novità, che non sarà facile fare digerire ai nostri santoni dell'economia circolare. Ciò che è avvenuto sull'immigrazione è altrettanto stupefacente. Solo fino a un anno fa si celebrava Fuocoammare, si glorificavano i meriti dei sindaci accoglienti, si difendevano le Ong che traghettavano i profughi dalle coste della Libia alla Sicilia, si riempivano di quattrini cooperative che dell'immigrazione facevano il loro unico affare. Salvini ha spostato la barra a dritta. Quella che può essere considerata un'uscita controproducente sui delinquenti importati dalla Tunisia, ha il senso di fare apparire meno «sbracato» il nostro Paese. Può apparire una battuta da talk show e non da ministro, ma lancia un messaggio di rigore a chi ha fatto dell'immigrazione un business.

In ogni grande democrazia occidentale l'immigrazione viene regolata. Per anni abbiamo dato l'impressione che fosse aperta a tutti, senza controlli. Le parole contano. Il tam tam delle dichiarazioni di Salvini riguardo alla Tunisia, avrà comprensibilmente irritato il governo nordafricano, ma avrà anche reso esplicito un cambiamento di approccio del governo italiano.

Le parole non sostituiscono i fatti. Lanciano però segnali importanti.

E quelle irrituali, in economia e immigrazione, pronunciate da Salvini segnano un cambiamento.

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