Golpe in Turchia

Il mondo grigio senza alleati né nemici

Erdogan fondamentalista "democratico", i militari sconfitti dal popolo. Chi distingue più il bene dal male?

Il mondo grigio senza alleati né nemici

I golpe, in questi tempi grigi, ancora più dei sogni, muoiono all'alba. La mattina ti svegli e scopri che la storia che ti stavano raccontando è tutta sbagliata. Non è la prima volta, ma di solito capita con gli exit poll, alle elezioni, non con i carri armati. È che adesso è tutto più veloce, come in un film di Tarantino, ti addormenti due ore e perdi il filo. Non capisci se quelli in ginocchio, prigionieri, sono gli stessi che stavano vincendo, chi sono i buoni e chi i cattivi, per chi tifa Obama, cosa fa Putin e soprattutto quanto dura la batteria del telefonino di Erdogan. Tropo caos, troppe morti, troppo sangue, troppi scossoni. Poi viene il giorno e, per il momento, sei sopravvissuto. Nel bar sotto casa, dove fai colazione, s'improvvisa un talk show. Istanbul sembra qui, dietro l'angolo e come fa notare un signore con i capelli bianchi, con una giacca di lino, che ricorda vagamente Pamuk, non c'è città più pronta a incarnare le sfumature di colore di questo scorcio, e scroscio, di millennio. Smarriti, in ogni angolo del vecchio impero occidentale. Quelli del bar, del tram e del mercato, quelli che votano per un posto di lavoro, quelli che fingono di sapere, i professionisti, gli esperti, quelli che svendono opinioni, le lavandaie dei segreti di Stato, gli sprinter della finanza, gli ultimi potenti della terra, tutti sommersi da un flusso di frammenti, mai così tante informazioni, e una sola pallida consapevolezza: non ci si raccapezza. Ci vorrebbe una bussola, un sestante, una mappa o almeno capire davvero chi sta con chi, a costo di rubare le carte degli obiettivi segreti del risiko: distruggere tutte le armate blu (e questo magari è l'Isis), conquistare 18 territori (tipo Putin), conquistare la totalità dell'Asia e dell'Africa (citofonare a Pechino). Ma ormai c'è chi gioca solo per sopravvivere, come in Francia, chi cerca una via di fuga stile Brexit e chi come noi tira a campare.

C'è chi ricorda quando la guerra era fredda. I carri di Budapest, quando i sogni appunto morivano all'alba e Montanelli non aveva dubbi da che parte stare. I suoi eroi erano i ragazzi della collina Gellert, i resistenti. Il Pci stava con i cingolati, perché la rivoluzione è la rivoluzione e gli studenti ungheresi erano controrivoluzionari, ovvero nemici della lotta di classe. Calvino invece straccia la tessera del partito perché non si riconosce più nel comunismo. I golpe li facevano i colonnelli in Grecia e i generali in Sudamerica, tutti con i baffetti e le facce da capufficio. A quel punto ti tenevi la Dc. Adesso guardi la Turchia e non sai cosa sperare.

Non sai neppure se è tutto vero o una grande recita politica. Fai la parte di Amleto. Il Sultano puzza di sotterfugi, bussa all'Europa, fa affari con i profughi e lo smercia come un favore, e sottobanco rassicura il fondamentalismo islamico, sogna di disperdere i curdi e se dici che lo sterminio armeno è da un secolo, appunto, uno sterminio ti sbatte in galera. Il guaio è che lo hanno votato e può dire al mondo «sono la democrazia». Quelli del bar sotto casa non si impicciano. Se togli Assad ti spunta l'Isis. Ti accorgi con un certo senso di colpa che impiccare Saddam non guarisce il Medio Oriente, che la primavera araba è una rosa con troppe spine, che non si può fare a meno di Putin e ti tocca rimpiangere Gheddafi. Rassegniamoci alle sfumature. Stiamo andando verso un'era quantica. Il Novecento era binario, zero e uno, rosso e nero, spento o acceso. Nel mondo dei quanti non ci sono certezze. Le particelle stanno qui e là nello stesso tempo. È il regno della probabilità. È la legge dell'universo. L'unica è limitare il danno e qualche volta è tutto.

Come sostiene la barista fuggita ragazzina da Cuba vent'anni fa: «Da che parte sto? Da chi non mi ammazza».

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