Cronache

Le motivazioni della sentenza di condanna di Parolisi

Nessuna attenuante per Salvatore Parolisi. Dopo la condanna difinitiva a 20 anni di carcere, la Corte ha depositato le motivazioni della sentenza

Le motivazioni della sentenza di condanna di Parolisi

Nessuna attenuante per Salvatore Parolisi. Dopo la condanna difinitiva a 20 anni di carcere, la Corte ha depositato le motivazioni della sentenza. E dalle carte si ha un quadro più chiaro dell'impianto accusatorio poi sfociato in una sentenza di condanna. Le attenuanti sono state negate per motivi chiari: "I riferimenti svolti dalla sentenza impugnata alla doppiezza e alla falsità del comportamento dell'imputato nei confronti sia della moglie (a suo tempo rassicurata circa la cessazione della relazione extraconiugale, relazione invece proseguita), sia dell'amante alla quale aveva rappresentato l'avvenuta fine del matrimonio con la promessa di recarsi da lei e di presentarsi ai suoi genitori dopo aver definitivamente lasciato la moglie", sono - scrive la Suprema Corte - "funzionali" a dar conto del fatto che "la situazione creatasi nel rapporto dell'imputato con le due donne era tale da costituire 'l'humus psicologico per lo scatenamento della sua furia e, propiziato dal fatto che la povera vittima era stata avvertita come un fastidioso ostacolo e come un pericolo per la sua carriera“, spiegano le motivazioni della Cassazione. I giudici sottolineano che "lungi dall'indulgere in considerazioni moraleggianti", i riferimenti che la Corte umbra fa alla "doppiezza e alla falsità del comportamento dell'imputato danno corpo ad argomentazioni immuni da vizi logici, tese ad escludere che la connotazione dell'elemento psicologico dell'omicidio possa assumere la valenza invocata dalla difesa dell'imputato relative all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e, dunque, alla meritevolezza dell'adeguamento della pena alle peculiari e non condificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto". Infine spunta un appello del padre di Melania Rea al ministro della Difesa, Roberta Pinotti: "Un militare condannato per omicidio in via definitiva – si legge nella lettera – non crediamo possa ancora mantenere lo status di militare, persino godendo di qualche privilegio connesso alla suddetta condizione.

Inoltre – scrive ancora Rea – il reato commesso non ha nulla a che vedere con i reati militari e anzi lede l’immagine dei militari, quale sono io stato, avendo ricoperto la carica di primo maresciallo dell’Aeronautica Militare prima del pensionamento”.

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